L’ALBUM COME PUNTO DI PARTENZA O DI ARRIVO?

Giorgio Gennaio 2017

Negli anni del vinile, la produzione discografica prevedeva la  pubblicazione di dischi a 45 ed a 33 giri, vale a dire, per dirla con un linguaggio più attuale, i singoli (che avevano una faccia A ed una facciata B per complessivi due brani, fatte salve alcune rare eccezioni) ed i long playng (anche questi caratterizzati da due facciate, comprendenti mediamente dalle otto alle dieci canzoni, salvo eccezioni).

Sino ai primi anni ’70, in Italia a dominare il mercato erano i singoli a 45 giri; successivamenete, con la crescita del fenomeno cantautorale, si assistette ad una dirompente crescita del vinile a 33 giri. Le ragioni di questa evoluzione le motivarono più volte diversi cantautori: la dimensione del 45 giri non era più sufficiente per sviluppare un discorso artistico più ampio ed articolato. Motivazione spesso discutibile, anche in qugli anni. Resta però il fatto che prima di approdare alla nuova filosofia dei cantautori colti, l’incisione di un 33 giri, soprattutto se caratterizzato da brani inediti, era l’approdo riservato soltanto ad artisti affermati, con alle spalle frequenti incursioni nelle hit parade nazionali e talvolta anche internzionali. Artisti insomma che si rivolgevano ad un pubblico consolidato e fortemente motivato all’ascolto di canzoni nuove proprio in virtù dei precedenti successi degli stessi artisti. Oggi la situazione è mutata per mille ragioni. I vinili sono stati soppiantati dai cd e dalla dimensione digitale, di dischi se ne vendono pochi, ma nonostante ciò ogni giorno finiscono nelle redazioni delle riviste musicali (siano esse cartacee o online) moltitudini di album (cioè di quelli che un tempo erano i vecchi 33 giri) che racchiudono il lavoro di illustri sconosciuti o poco più. Cioè di soggetti che al tempo del vinile, in molti casi, non sarebbero neppure approdati all’incisione di un 45 giri. Per i più ragionevoli, esiste una dimensione che ai tempi del vinile non c’era ed è l’Ep, cioè la possibilità di realizzare un disco che non sia “solo” un singolo, ma non sia “ancora” un album. E’ la dimensione alla quale, a mio avviso, dovrebbero guardare quegli artisti ancora alla ricerca di un’identità e, ancor più, di una reale, seppur minima, notorietà. Ricevo invece spesso album di emergenti contenenti dieci e talvolta anche una dozzina di brani che rarissimamente reggono l’impegno, altrettanto raramente riportano un percorso artistico che ne possa giustificare la realizzazione, appaiono tanto fragili quanto pretenziosi. Il che, abbinato ad una iperproduzione che non ha precedenti (mai visti così tanti aspiranti cantanti, cantautori e musicisti) riduce quasi a zero la possibilità di un percorso artistico che vada oltre la dimensione amatoriale. Una riflessione collettiva ci starebbe tutta perchè non basta disporre di tecnologie che agevolano la realizzazione di produzioni discografiche, riducendone i costi, per alimentare illusioni pericolose o, ancora meglio, per millantare ambizioni artistiche spesso discutibili.

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