“DREMONG”, UN ORSO DIFFICILE

A leggere nel sito di Max Manfredi alcune recensioni e, ancor di più, gli aggettivi elogiativi a lui attribuiti da monumenti della canzone d’autore italiana, quali Fabrizio De Andrè e Roberto Vecchioni, verrebbe voglia di liquidare il suo ultimo album, “Dremong”, con qualche convenevole ed un generico apprezzamento. Ma se lo facessimo, ci parrebbe di venir meno al nostro proposito di esprimere, sempre e comunque, al di là di ogni condizionamento, un parere immediato e, soprattutto, intellettualmente onesto.

 

Ed allora, partiamo dalle sensazioni generali, prima di addentrarci in alcuni dei brani che scandiscono questo lavoro a 14 tracce che ruota intorno all’immagine di un orso un po’ irascibile, “Dremong” appunto, un plantigrado tibetano la cui raffigurazione in copertuna è stata affidata niente meno che ad Ugo Nespolo. Dal punto di vista musicale, va riconosciuto che Max Manfredi ha “arruolato” un esercito di musicisti che suonano di tutto e di più, traducendo arrangiamenti sempre molto ricercati, talvolta anche raffinati, con professionale disinvoltura. Sui testi, ci permettiamo qualche esitazione. Il fatto che Manfredi sia autore, scrittore, poeta e quant’altro, non sempre giustifica un ermetismo che predilige le vie dell’inaccessibilità a danno di chi ascolta. “Tu lo sai che ti tradisco con catene/notti bianche di peccati di lavoro/mentre passano le code della neve/tra gli svincolidi questa corsa all’oro” leggiamo, con un certo turbamento, in “Disgelo”. Belle immagini, ma che vuol dire? Perchè, o ci diciamo con estrema chiarezza, come accade sempre più frequentemente con certa poesia, che poco importa se chi legge o chi ascolta comprende il senso di un testo, basta che sia coinvolto dalla “musicalità” delle parole, oppure non ci siamo. Perchè l’arte, soprattutto quella della parola, è comunicazione. E se non comunica, è solo inutile autoreferenzialità. Nei testi di Manfredi accade con una certa frequenza di imbattersi in situazioni simili. E per chi ascolta le canzoni con i testi davanti al naso e non solo per avere un rumore di fondo mentre vuota i cestini della carta in ufficio, ciò è piuttosto irritante. Poi però, si aprono squarci di luce che sono autentiche perle. “Notte” è un ricamo di delicata poesia, “Piogge” un capolavoro che, pur nella sua apparente ripetitività, conserva un andamento coinvolgente capace di risvegliare sensazioni intime ed intense. “Il Negro” è una canzone intrisa di ironia, che solo una penna molto felice può scrivere con quella leggerezza; “Le castagne matte”, che prende spunto da un omonimo racconto di Mario Mantovani, è un delicato acquerello tra passato e presente. E “Dremong”, brano che dà il titolo all’intero lavoro, piacerà agli animalisti. Non si può dunque parlare di un cd sgradevole, proprio per quei fattori positivi che vanno a compensare ampiamente ciò che è fonte di perplessità (a proposito, a tratti lo è anche la voce di Manfredi,ma forse anche in questa va ricercata la….licenza poetica).

 

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