L’Italia non ha grandi festival? Parliamone

Secondo il direttore di “Onstage”, Daniele Salomone, l’Italia, contrariamente a diverse altre nazioni europee, non avrebbe un grande festival musicale. “Perché l’Italia non ha un grande festival?” si domanda Salomone “Perché non riusciamo ad organizzare un evento all’altezza di quelli che invidiamo ai paesi europei e agli Stati Uniti? Domande simili sono tornate di moda quest’anno perché è saltato l’Heineken Jammin’ Festival e abbiamo assistito al caso eclatante dell’A Perfect Day, annullato dopo che la line up completa era stata annunciata. Ma questo problema in Italia ha radici molto profonde: è un grave fallimento del sistema-paese. Se non abbiamo un festival degno di questo nome le responsabilità sono di tutti. Dei privati, delle istituzioni e del cosiddetto popolo. Il lungo periodo di recessione non aiuta, ma non può essere un alibi: in questo campo faticavamo molto anche quando il paese cresceva”.

Una lunga elencazioni di fattori e probabili cause, talvolta condivisibili, altre meno, però il concetto nel suo insieme, a mio avviso, andrebbe chiarito e dettagliato. I festival hanno caratteristiche molteplici, si rivolgono a fasce di pubblico diverse, non devono necessariamente riunire folle oceaniche, nè durare settimane. Quello che scrive Daniele Salomone riguarda evidentemente le grandi kermesse del rock (non a caso il suo scritto si apre con il rammarico per il fatto che sia saltato l’Heineken Jammin’ Festival). E di queste, è vero, in Italia non ve ne sono. Ma il domandarsi il perchè l’Italia non ha un “grande festival” mi pare quanto meno riduttivo. In parte sono condivisibili i limiti che Salomone denuncia parlando di pubblico ed istituzioni (soprattutto queste ultime non sono quasi mai riuscite ad entrare nei meccanismi dei grandi eventi musicali, nè hanno voluto farlo). Ma non è vero, per esempio, che gli eventi siano sempre nelle mani dei grandi promoter, con tutto quel che ne consegue. La dimensione della musica indipendente è principalmente fatta di persone di buona volontà, coraggiose quanto basta, a volte anche un po’ folli. L’Italia ha festival dedicati al jazz ed all’ambito cantautorale, che non potranno mai diventare Woodstock, ma che sono in grado di offrire proposte di altissima qualità artistica. Ci sono le convention dedicate al rock e sono anche piuttosto numerose. Ma a questo punto credo sia indispensabile capirci sulle terminologie: i concerti dei Rolling Stones o di Bruce Springsteen sono eventi, il Bologna Jazz Festival o il Premio “Bindi” sono festival. Compresa la differenza, si può anche sognare di traformare l’isola d’Elba nell’Isola di Whight. Dice il direttore di Onstage (riferendosi alle kermesse di Glastonbury e Sziget): “Sia in Inghilterra che in Ungheria, pur in epoche e contesti diversi, hanno pensato a un prodotto (magari aggiustandolo in corsa), l’hanno posizionato presso un pubblico che lo chiedeva e non hanno incontrato resistenze sul territorio”. Dunque, “….l’hanno posizionato presso un pubblico che lo chiedeva.…” e “non hanno incontrato resistenze sul territorio…”. Pare poco? Vogliamo chiedere alla Siae chi, in ambito musicale, in Italia, vende più biglietti al di fuori dei concerti-evento? La risposta sarà: i locali di liscio e revival o se vogliamo quelli ove impazza il latino-americano (che personalmente rispetto molto). E vogliamo chiedere ad un po’ di organizzatori quanti sono quelli che non hanno mai “….incontrato resistenze sul territorio….”?. Credo che le dita di una mano siano già troppe. E allora, forse, le riflessioni da fare sono altre. Fermo restando l’apprezzabile contributo di “Onstage” che, come ho detto all’inizio, è almeno in parte condivisibile. Eppoi, concludendo, in Italia c’è un festival che conoscono anche le tribù Masai e che probabilmente è stato concepito quando altrove non era ancora neppure molto chiaro che cosa si intendesse per “festival”. E’ il Festival di Sanremo. Può non piacere, lo capisco. Avrebbe bisogno di un profondo e radicale miglioramento, lo so.  Ma…suvvia, ci vuole un minimo di onestà intellettuale prima di dire che l’Italia non ha grandi festival, ignorando quello della riviera dei fiori. E comunque, volendo monetizzare ad ogni costo, visto che Salomone nel suo articolo parla anche di indotto prodotto dalle grandi kermesse, proviamo a pensare ai capitale che muove ogni anno proprio la rassegna sanremese. Diritti televisivi in Italia ed all’estero, sponsor, movimenti turistici che fanno fare il “tutto esaurito” per una settimane negli alberghi della zona, ristoranti e bar strapieni. Ce n’è abbastanza per capire il perchè, da anni, la rassegna viene dilatata per un’intera settimana, anche quando la dimensione artistica non lo giustificherebbe.

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