INCOMODO, UN PO’ DI SILENZIO…MAGARI!

Loro sono gli Incomodo, giovane rock band leccese ed il loro primo album si intitola “Un po’ di silenzio”. Se è vero che esistono nella storia della musica brani imperdibili, è altrettanto vero che ne esistono molti di più perdibilissimi. Ed è il caso delle undici tracce contenute in questo sconclusionato progetto definito “un lavoro che invita a ridurre il superfluo che è presente dietro ogni cosa concentrandosi piuttosto sulle relazioni umane…”.

 

Ammirevoli intenti finchè non ci si imbatte in versi del tipo “Sensi di colpa torturano me, l’istinto tradito è fuori di sé, il volto sul cuore si nutre di te, occhi eterni guardano dentro…”. Ed in questa bizzarra composizione ci si imbatte quando si è ormai all’ascolto del quarto brano. Si perchè è necessario arrivare al quarto brano per riuscire a cogliere brandelli di testo, visto che in quelli precedenti ed in buona parte di quelli successivi, il cantato non è solo sovrastato, ma è letteralmente asfaltato da schitarrate frenetiche e, quel che è peggio, gratuite. Dovremmo cercare di capirci sul concetto di rock, sia ponendoci dalla parte di chi lo suona, sia immedesimandoci in chi ne è fruitore. Perchè, delle due l’una: o siamo al cospetto di un genere certamente ruvido, sicuramente “contro”, assolutamente non omologato, oppure riteniamo che sia sufficiente un fastuono assordante ed isterico ad uso etilico il sabato sera. Nel secondo caso, non servono musicisti. Ma se invece pensiamo al rock come ad un genere intensamente comunicativo e fortemente espressivo, allora gli Incomodo più che…incomodi, sono inutili. Basta ascoltare un brano come “In fede infame” contenuto nel cd per comprendere come anche i testi divengano un pretesto per percuotere e sconquassare senza un filo logico. E quando invece, finalmente, in “E’ andata così”, i decibel sembrano concedere qualche chance d’ascolto anche al cantato, impietosi vengono a galla tutti i limiti della voce del gruppo, che non si salva neppure nel delirio finale, proposto in lingua inglese, ma che avrebbe potuto essere qualunque idioma, tanto le parole risultano suoni indistinti. No, proprio non ci siamo. Mai come in questo caso “Un po’ di silenzio” non è solo un titolo, ma un auspicio.

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