E’ “NEBBIOSA” LA TRAGEDIA MUSICALE DI… NEBBIOSO

Inoltrarsi nell’ascolto di “Nebbiosa”, il nuovo album di Nebbioso (al secolo Davide Sciacchitano), bassista di consolidata esperienza artistica, è come varcare la soglia di una mostra di arte contemporanea. Sai già benissimo che capirai poco o nulla di quanto l’artista avrà cercato di rappresentare, perchè dovresti essere nella sua mente e non lo sei, e perchè lui avrà fatto ben poco per aiutarti a capire.

Del resto, che tu capisca o meno a lui poco importa, perchè è nella sua dimensione che va ad individuare la musa creativa che poi ti elargisce. Stupendosi del tuo stupore. E allora, cerchi di cogliere sensazioni, emozioni, provocazioni, illusioni basandoti soltanto su ciò che tu pensi di avere colto. E ti deve bastare. Così ti pare di comprendere che Nebbiosa è una giovane donna che si aggira in una città chiamata Tr3SeiZero, una città del futuro prossimo che si accinge a vivere il tragico epilogo umano del futuro che seguirà. Un futuro fatto di intelligenze artificiali, di spersonalizzazione, di captazione subdola di ogni umana velleità, di artifizi elettronici, di una scienza che vorrebbe sostituirsi a Dio, di una scienza che in realtà forse si sente già dio. Sono undici tracce che oscillano tra il mistero e le atmosfere cupe di una sorta di giallo avveniristico, con un’introduzione ed un epilogo, con un “profondo sonno” che cerca di trasformare il concetto di morte in un qualcosa di meno definitivo, con un’immagine di una moltitudine umana trasfornata in una gabbia di cavie per gli esperimenti di quel “Padre Nostro” che per rispetto del Signore (quello vero) sarebbe forse stato giusto chiamare in altro modo. E poi quell’…”eravamo in tanti, non tutti hanno scelto di uscire…”, come se da una catastrofe simile fosse ancora possibile scegliere di uscire o di rimanere. Il progetto di questo album è sicuramente ambizioso e coinvolge parecchi artisti di diverse espressioni musicali, ma non solo artisti, anche tecnici di prima fascia che hanno curato i suoni, e poi grafici e attori. E’ evidente che qui siamo distanti dal concetto di “canzoni” che come tali conosciamo, ma anche da qualunque altro genere musicale anche se poi, traccia dopo traccia, si riconosce un po’ di rock, un po’ di elettro, un po’di jazz, un po’ di epic. Più che in un album musicale ci si ritrova però proiettati in una sorta di sceneggiatura pensata per un cervellotico film di fantascienza. E, alla fine, da questa “mostra” vissuta in poltrona e fatta solo di ascolto, si esce con la consapevolezza di avere capito poco, ma anche di avere poca voglia di capire ciò che non viene esplicitato (chi si ritrova il cd tra le mani non dispone delle note dell’ufficio stampa che “traducono” il pensiero del Nebbioso). Ed in fondo, è proprio questo il labile confine che separa l’opera d’arte che trasmette, che coinvolge, che rispetta chi osserva o chi ascolta, dall’onanismo mentale di chi legittimamente sviluppa (e lo fa anche con dovizia di risorse artistiche) un percorso certamente ponderoso e ponderato, che trova però reale riscontro solo nell’autoreferenzialità.

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