Così parlò Zibba

Tempo fa, “Un’altra Music@” aveva intervistato il cantautore Zibba, vincitore del premio della critica “Mia Martini” tra le “nuove proposte” del Festival di Sanremo appena concluso. Zibba già stava suscitando consensi ed attenzioni negli ambienti della canzone d’autore indipendente in Italia. Lo aveva incontrato, in occasione di un concerto a Genova, Enrica Ferrari. Riproponiamo l’intervista.

Zibba sembra non inseguire i miti più comuni e non cerca nulla che non gli dia una soddisfazione reale. E’ una sensazione o fa parte del tuo progetto di vita?

Diventare ricchi ? Chissenfrega. Io non aspetto la fama per essere felice, e se il successo è vendere dischi ed avere gente che canta ai concerti, quel successo ce l’ho già. Se non guadagno ancora abbastanza per pagarmi il mutuo me ne frego, perché il mutuo non l’ho fatto. Continuando a non mentirmi e a non mentire anche il resto migliorerà.



Come vedi il futuro del mercato musicale nazionale ?

La musica Italiana non è mai stata così varia e sfaccettata, e forse nemmeno così confusa alle orecchie di chi ascolta. Spero ci sia sempre gente che vuole dire la sua a suo modo, come spero che nell’ambito pop si riesca a migliorare il contorno. Che cambino un po’ gli schemi, le figure di riferimento in campo discografico e magari che gli spazi per l’indipendente diventino altrettanto ufficiali ed importanti per la collettività come lo sono ora i talent televisivi o il festivalone.

Esiste un rapporto tra popolarità e bravura ?

Ci sono molti artisti popolari che sono dei grandi talenti. Credo sia un po’ una moda attuale degli indipendenti, dei quali faccio parte, questa di parlare male di quelli famosi o di quelli più pop. Secondo me abbiamo tutti da imparare da tutti, se non artisticamente magari a livello manageriale o di immagine o per qualunque altro motivo.

Devi  mediare e quanto per incontrare il gusto del pubblico ?

Scrivo sostanzialmente quello che mi piace e pare che sia questa la chiave vincente. Non mi pongo problemi, scrivo liberamente. Chiedete al mio managerone che voleva farmi levare le parolacce dai testi. Gli ho risposto di no. Ogni parola che finisce in una canzone è frutto di un vissuto che mi ha colpito. Sarebbe come fare un figlio e poi segargli un braccio perché qualcuno lo vorrebbe così. E a chi pensa che siamo dei matti a trattare le canzoni come figli rispondo che alle nostre emozioni ci badiamo noi che le viviamo.

E gli artisti, cioè voi….chi sono secondo te gli artisti?

La musica è spesso un tutti contro tutti ove si ascoltano giudizi insensati e troppo personali: i jazzisti contro i cantautori e viceversa. Mi piacerebbe che tutti avessero il coraggio di poter trovare sempre il bello ovunque. Sopratutto nel diverso. Lanciamo appelli contro il razzismo etnico e poi giriamo le spalle ad uno che suona una musica diversa? Ipocrisia maledetta. Vorrei un ambiente musicale dove quello che faccio io in piccolo, che registro un brano come “Dauntaun” dove ci suona uno dei più grandi jazzisti in circolazione con l’ultimo dei chitarristi blues americani, poi due giovani rappers di provincia, un bluesman italiano, un pianista sconosciuto e altri quattro o cinque cristiani a caso, fosse una regola per mantenere curiosità, collaborazione e originalità sempre in piedi. Insieme. Strette di mano e condivisione degli spazi.

C’è una “colonna sonora” della tua vita?

Non so. Ogni giorno cambia. Però c’è una cosa che ogni volta che la sento mi fa piangere come un coglione. Ed è la registrazione di Totò che recita “A Livella”.

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