A volte è difficile il ruolo di chi si trova a dover esprimere giudizi su di un prodotto come la realizzazione di un cd, che chi è del mestiere sa bene quali e quanti affanni comporti e quante attese alimenti. Un tempo si diceva che per non essere sgradevoli al cospetto di un prodotto non troppo riuscito, meglio sarebbe il silenzio. Non è così. Chi con una propria opera si espone all’altrui giudizio (lo fanno tutti gli artisti), sa benissimo di andare incontro a plausi e dissensi. Lo sa anche Ciro Zerella con questo suo “Sotto casa”, nove tracce probabilmente destinate a…non lasciare traccia.
S’inizia (male) con “Nico”, che subito mette chi ascolta al cospetto di una voce troppo fragile per sostenere un volume così alto di chitarra elettrica, tant’è che buona parte del testo “annega” e la linea melodica appare balbettante (si salva solo un po’ il ritornello). Non andiamo molto meglio con “Terra Boa”, brano che ha una buona ritmica, la voce non è troppo gradevole in quel contesto, bene a sorpresa l’inserimento della tromba nel finale. “Santiago Bernabeu” è un microdisastro, linea melodica scarsa, ritornello peggiore, voce sempre meno convincente. “Prenderti o perderti” è una canzone banaluccia che l’ensemble strumentale non riesce a migliorare più di tanto. In “Via Vittorio Veneto” ciò che sorprende è la sensazione di vivere due dimensioni e due canzoni completamente diverse e quasi sovrapposte, la voce viene sovrastata e il risultato è stucchevole. “Chimica degli elementi” rivela la fragilità della linea melodica, ma ancor più di un testo ove ci imbattiamo in frasi del tipo “…prendiamo il vino e poi le patatine che non sono mai salate bene….” o, ancora peggio “…non mi ricordo più di Maria di Magdala che abbraccia, abbraccia, il suo povero cristo…”, siamo al delirio, probabilmente è la chimica degli elementi. Andiamo un po’ meglio con “L’attore”, che più delle altre ha le sembianze di una canzone finita e ci si avvia mestamente verso la fine, fortunatamente con “Brasile 1958” che ha un buon ritmo, coinvolgente, che a malapena maschera un tentativo un po’ buffo di cantare in brasileiro, infondendo però un poco di allegria. E si chiude con “Hanno preso Bob Dylan” e ripiombiamo nella mediocrità con versi come “…cara sei volata stasera, sei volata nei cieli, nel blu dipinto di blu…”. Scoraggiante. Non ha senso rivoltare il coltello nella piaga, ma qui ad essere generosi si salvano un paio di canzoni, il cantautore ha cedimenti imbarazzanti (sia come autore sia come cantante), i musicisti strappano una sufficienza risicata. Con questi requisiti non si mette insieme un prodotto di successo e, ancor meno, di qualità.