QUANDO IL DIVISMO ACCOMPAGNAVA LA MUSICA

Giorgio cell.

Mettiamola com vogliamo, ma il tramonto del divismo nel mondo della musica ha avuto un’incidenza pesante e palese su tutto l’ambiente, a cominciare dall’approccio con la musica stessa, sino ad arrivare alla fruizione dei supporti della musica, da quelli discografici sino a quelli che passano attraverso i canali social.

Quando i protagonisti della canzone erano dei divi (e, badate bene, lo erano anche quelli di seconda fascia per il solo fatto di essere dei cantanti) acquitando il biglietto per un concerto o acquistano un disco non si acquisiva solo il diritto di accostarsi ad un certo tipo di musica, ma si acquistava anche il personaggio, la possibilità di essere a pochi metri da lui o addirittura di toccarlo o quella di possedere un disco con in copertina l’immagine del beniamino di turno. Esistevano giornali come “Giovani” o “Ciao 2001” che enfatizzavano queste dimensioni, regalando ogni settimana i poster dei cantanti che venivano appiccicati in bella vista nelle camerette di ogni adolescente. Poi c’rano i giornali di gossip ove di questi cantanti si scriveva ogni cosa: con chi si fidanzavano, dove andavano in vacanza, quali cibi preferivano, cosa sognavano da piccoli. E poi c’erano i grandi eventi musicali in televisione, da Sanremo a Canzonissima, da Un disco per l’estate al Festivalbar ove scorrevano le immagini di personaggi più o meno noti che il piccolo schermo rendeva divi, anche se con alterne fortune. Ho visto con i miei occhi il capannello di ragazzi in attesa di Sonia e le Sorelle fuori da un albergo con penne e taccuini per raccogliere gli autografi. E Sonia e le Sorelle non sono certo passate alla storia della canzone. Ma funzionava così ed ogni venerdì si attendeva la “hit parade” radiofonica condotta da Lelio Luttazzi per scoprire quali erano i dischi più venduti della settimana. Oggi tutto è profondamente cambiato, anche senza entrare nel merito qualitativo della musica che viene proposta. Vengono premiati non i cantanti che vendono più dischi, ma quelli che sui social ricevono il maggior numero di visualizzazioni. Non esiste più alcuna forma di divismo e del resto in due giorni sono stati arrestati tre trapper per reati gravi come minacce e rapine, non so cosa volessero dimostrare o se semplicemente la vocazione a delinquere è in loro pari a quella della musica. Resta il fatto che episodi come quelli evocano ambienti torbidi, più da temere che da ammirare. Le canzoni sono quasi sempre qualitativamente mediocri, rimaste a lungo sotto il giogo di un rap omologato e sempre uguale a sè stesso. E per contro, il pubblico troppo spesso sente la musica, ma non l’ascolta. Se si esce da certi canoni si parla subito di nicchie, cioè di un qualcosa riservato ad un pubblio circoscritto e solitamente poco numeroso. Al di là dei falsi sold out, la folla, quella vera, la si vede solo per quella manciata di big, perlopiù “stagionati”, che da anni cavalcano l’onda. Quelli che erano divi e lo sono rimasti, nonostante l’incuria del tempo. Le nuove leve sono perlopiù ragazzotti che appaiono e spariscono nel volgere di qualche mese ed anche quelli che rimangono a galla non esplodono mai, divorati da una platea estremamente volubile che non si riconosce più nelle canzoni, ma solo nei decibel che stordiscono serate fatte di strepiti e di birra. Lo so, forse anche il divismo non era altro che la proiezione di un’ingenuità alimentata dai sogni di una generazione semplice. Ma ci ha fatti divertire ed emozionare. E tanto basta per rimpiangerlo.

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