Provvedimenti per la musica. Ma da dove? Ma per chi?

Da alcune settimane, su vari organi di informazione ed in moltissimi social network frequentati da musicisti o comunque operatori del mondo della musica, corrono voci incontrollate (e per ora incontrollabili) su una serie di normative a sostegno delle attività musicali che dovrebbero essere contenute nel decreto “del fare” approvato dal Governo Letta. Di fatto non esiste una sola circolare attuativa, non vi sono informazioni certe, non si dispone di dichiarazioni ufficiali da parte di parlamentari o ministri, se non qualche battuta frammentaria che lascia intuire la presenza di queste tematiche sui tavoli dell’esecutivo, senza però sapere nulla sugli esiti del dibattito (qualora un dibattito su questi temi vi sia stato). Nel pianeta dei “Si dice” circola voce di un emendamento in virtù del quale, per i locali che vogliono proporre musica dal vivo ed abbiano una capienza inferiore ai 200 posti, dovrebbero essere abolite tutte le incombenze legate ai permessi previsti da svariate leggi e leggine, locali e nazionali, che riguardano le esecuzioni dal vivo. Ed è questo il tema sul quale più facilmente ci si imbatte. Ma, verrebbe da domandarsi: tutto qui? Già perchè, in ogni caso, già ora tanta parte di quelle norme burocratiche vengono allegramente disattese e quindi, in cosa consisterebbe lo sforzo del Governo a sostegno del mondo della musica? Qualcuno osa immaginare che in quelle circostanze verrebbe anche meno l’obbligo di pagare Siae ed Enpals. Andiamoci piano, perchè qui si entra su di un terreno minato. Intanto, scorrendo il sito della Siae, non si trova un solo riferimento a questa ipotesi. Certo, diranno i più smaliziati, vorrete mica che sia la Siae e darvi le dritte per non versare diritti d’autore e contributi? No, non ci aspettiamo un vademecum di questo tipo. Però, se una norma esistesse davvero, sia pure a malincuore, la Siae non potrebbe continuare a pretendere pagamenti di diritti che non le spetterebbero più o versamenti contributivi (Enpals) non più contemplati. Se a tuttoggi negli ambienti della Siae, almeno in termini ufficiali, non se ne parla, la verità più attendibile, per ora, è che nulla di tutto ciò sia stato deciso. E lo confermerebbe anche l’attuale totale assenza di circolari ad hoc. Ma c’è già chi si spinge oltre ed anche in questo caso, in un contesto assolutamente confuso, giunge ad affermare che il “pacchetto” di queste normative dovrebbe comprendere anche l’eliminazione del pagamento dei diritti d’autore per le Associazioni Onlus; altri più genericamente giungono a dire che ne sarebbero escluse le Associazioni senza fini di lucro. A molti sfugge che “onlus” e “senza fini di lucro” sono solo apparentemente definizioni diverse per un eguale stato. Non è così. Si tratta di realtà differenti e quindi, anche in questo caso, qualora davvero esistesse questo intento, dovrebbero essere forniti tempestivi chiarimenti al fine di evitare il caos. Ma non basta. Nell’apoteosi di mezza estate, si inserisce anche il ministro Bray che avrebbe annunciato (ma non si comprende in che circostanza e dove) l’introduzione del “tax credit” nella musica, per una somma pari a 5 milioni di euro per promuovere l’attività dei giovani artisti. Detto questo però, nessuno ha aggiunto altro. Chi sarebbero i “giovani artisti” in questione? Quella somma sarebbe destinata ad enti lirici e Conservatori, come è puntualmente avvenuto in tempi passati, oppure qualcuno potrebbe finalmente accorgersi che esiste un mondo musicale emergente fatto di altre tipologie di artisti, che non sono neppure quelli dei talent show? Anche in questo caso, ai proclami non sono seguiti ulteriori sviluppi. A conclusione di queste riflessioni, aggiungerei un ulteriore elemento, in realtà piuttosto inquietante. Da anni (sicuramente più di dieci) nei cassetti del Parlamento, giacciono ripetute domande provenienti da svariati ambienti, che chiedevano a gran voce l’abbattimento dell’Iva dal 20 (ora 21) per cento al 4 per cento per le vendita dei cd. In altri termini, un trattamento uguale a quello riservato al mercato librario, al quale sono stati riconosciuti i presupposti dello sviluppo culturale. Di quelle richieste non si è più saputo nulla e la discutibile disparità, che di fatto rende il libro un prodotto culturale ed il disco no, è rimasta inalterata per tutti questi anni, nonostante che la situazione del settore discografico andasse facendosi sempre più critica. Un precedente che purtroppo non lascia ben sperare.

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