Penelope sulla luna, rock tutto da ascoltare

Penelope sulla luna, una rock band ferrarese in pista ormai da oltre sei anni, con “Superhumans”, ultimo cd contenente otto brani tiratissimi, è in grado di farci comprendere l’esatta differenza che separa il buon rock dal rumore indistinto. Tutto ciò potrebbe fare sorridere, ma per chi si ritrovasse ad ascoltare le molteplici proposte che quasi quotidianamente giungono dal pianeta rock, la riflessione avrebbe un proprio significato.

 

“Superhuman”, il brano di apertura che dà il titolo all’intero lavoro, mette insieme atmosfere surreali dettate soprattutto dai suoni elettronici e qualche contaminazione metal, arie evocative di mondi lontanissimi, ma soprattutto un rock di ottima fattura, con suoni puliti, decisi, con destinazioni certe. Ma volendo proseguire nell’ascolto (gli scettici non si accontentano mai della prima impressione), ecco “To kill you in your sleep” che parte da presupposti molto diversi e distanti dal brano precedente, ma ci conferma l’idea che già ci stavamo facendo di questa band che riesce nei suoi toni aggressivi a trovare, quasi come si trattasse di una sorta di gioiello nascosto, anche qualche accenno alle trasparenze di toni maliconicamente melodici. Qualcosa di simile lo troviamo anche in “Shooting monkeys in to space”, ove però il ringhio della chitarra elettrica, dopo un avvio quasi dolce, ben presto rimarca che abbiamo a che fare con rock puro e che questo deve essere. Poi arriva “Rainbow Club”, quasi una pausa, un tirare il fiato, con in evidenza gli accordi di una chitarra elettrica su tutto, quasi delicati, quasi soft. Del resto, ci sta questa questa tregua prima di “Vendetta!!”, il brano successivo che torna a graffiare con un’ouverture rabbiosa per poi placarsi, ma solo per qualche istante. In “Goblin” l’arpeggio di chitarra iniziale potrebbe essere quello di una canzone degli anni Sessanta, poi il brano prende corpo, si sviluppa, concede qualcosa all’armonia e trova un percorso di oltre 8 minuti in cui si racconta con cadenza forte ed a tratti rabbiosa, ma mai esasperata. E per chiudere, il rumore un po’ artefatto del vento annuncia “That’s not how the story ends” e un pianoforte lento richiama la solitudine, come quella di un camminatore stanco che si avvia verso l’ignoto. Quando il rock riesce anche a fare pensare alla poesia, allora non ci sono dubbi, è ottimo rock. L’etichetta è “I dischi del Minollo”, la produzione è del 2012, ma sta iniziando a decollare in questo periodo

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