PARTINICO ROSE: UN BEL DEBUTTO DISCOGRAFICO

“Songs for Sad and Angry People” è il titolo dell’album che segna il debutto discografico della band ragusana dei Partinico Rose. Dieci tracce di rock a varie tinte che pongono però in risalto sin dal primo brano suoni puliti ed una vocalità decisa che non viene mai sommersa nè sacrificata.

S’inizia con “Slave of time” e la prima sensazione è quella di un rock che strizza l’occhio al metal, pur senza averne la stessa aggressività, andamento cadenzato, sicuro. “Misanthropy” appare meno graffiante pur senza perdere nulla in determinazione sia vocale, sia strumentale. “In “I’m Looking for A Job” ritroviamo invece un po’ delle sonorità del primo brano mentre in “Don’t Leave Me Alone” emerge una intro molto ritmica e nel prosieguo si coglie l’essenza di un rock sincero, senza compromessi e senza omologazioni troppo vistose, il che in tempi di vaghezze ideologiche sui conteuti e gli approdi di un rock credibile, non è poca cosa. Procediamo con “The Story of Cancer” che pur avvalendosi di una buona sruttura dei suoni presta il fianco a qualche cedimento che sa di ripetitività. Ma ci si riprende subito dopo con “The end Summer”, che è forse il brano più interessante dell’album, caratterizzato da una linea melodica appena più morbida e dal suono del violoncello che si inserisce molto bene in un contesto nel quale, abitualmente, quello strumento non compare, ma che qui conferisce invece profondità ed anche un senso di drammaticità al brano. “Mistakes in My Head” non convince del tutto soprattutto perchè si limita a dare continuità a quanto sin qui ascoltato, senza però offrire altri spunti di particolare interesse e curiosità. Con “Rehab from You” ritroviamo una chitarra estremamente pulita, una ritmica sostenuta ed una voce che a questo punto rischia di apparire un po’ monocorde, mentre viene ampiamente confermata la buona manualità nell’uso di ogni singolo strumento. Ed eccoci a “The Revenge”, strutturalmente molto dinamico, sostenuto da una batteria potente e da una vocalità incalzante sino ad approdare all’ultima traccia, “Could You Share My Pain” che dopo un’avvio un po’ scontato, cresce via via sino ad approdare alla seconda parte del brano che torna ad occhieggiare ad un soft metal più pacato. L’album nell’nsieme è un buon progetto, con qualche piccolo cedimento dovuto principalmente ad una tendenza alla ripetitività di formule collaudate, ma con momenti di vocalità e sonorità assolutamente pregevoli ed una coerenza negli arrangiamenti che ne fanno un percoso di piacevole ascolto.

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