ARRIVA MODER A TUTTO RAP MA 16 TRACCE SONO UN PO’ TROPPE

“Ci sentiamo poi” è il titolo dell’album di Moder in circuitazione da alcune settimane. Ben sedici tracce e già su questo vorrei soffermarmi. Moder è un rapper e nella presentazione di questo lavoro si dice che abba messo nelle tasche, per tanto tempo, sensazioni e immagini e quando in quelle tasche non vi era più spazio è entrato in studio. Una simpatica metafora, ma in tutta onestà, 16 tracce di rap, sia pure a diverse tonalità e con la partecipazione di alcuni “complici” (Murubuto, Claver Gold, Stephkill e Dj 5L) sono difficili da buttare giù.

Ci sarebbe stato materiale per due album, da prendere a piccole dosi. Ma veniamo ai brani contenuti in questa raccolta: dalle “siga” al “fumo”, dal piscio alla tequila, dal kubalibre alla sfiga, dalla birra al vino (si precisa anche Tavernello, tanto perchè non ci siano dubbi sulla sfiga) sino ad approdare, avendo esaurito la scorta di sventure, alle lotte dei compagni operai del ’68, non manca proprio nulla per disegnare l’identikit del rapper medio. Che probabilmente fa suoi gli affanni ed i disagi di una generazione, poiché questa pare sia la missione dei rapper. Il problema però è che di rapper, in Italia e nel mondo, ce ne sono ormai troppi e, soprattutto, dicono tutti le stesse cose. Moder si avventura anche in “Mentre urliamo” in una azzardata citazione battistiana (“….che ne sai tu di un campo di grano…”) senza spingersi oltre ed anzi, qualche brano dopo, in “Non ne posso più”, dice e ripete (dire che canta, sinceramente, mi viene difficile) “…tutta una vita che piove sfiga…” e così, con una successiva citazione del suicidio, facciamo bingo. Personalmente credo che il rap in senso generale e, in questo caso, anche quello di Moder e dei suoi amici, abbia una valenza sociale anzi, una doppia valenza: la prima è quella della denuncia di stati d’animo diffusi tra i giovanissimi, la seconda è quella di cercare du trasmettere, attraverso le canzoni, questi stati d’animo al mondo adulto affinchè, quanto meno, provi ad interrogarsi sulle ragioni di tanta desolazione. Credo che troppo spesso ci si fermi alla prima fase. Finchè un giorno questa moda passerà, i figli della generazione dei “paninari” cresceranno ed arriveranno altri giovani con altri affanni, come è sempre stato nella storia del mondo. Però, caro Moder, sedici tracce sono davvero troppe. Il rap, se veramente vuole comunicare qualcosa, lo dovrebbe fare senza sovraccaricare chi ascolta. Paradossalmente è il modo migliore per avere qualche speranza di essere ascoltati. Sull’album in sé non mi esprimo, appartenendo alla categoria di coloro che non considerano il rap musica, bensì un linguaggio comune con il quale i giovani si parlano e tentano di parlarci. Però, di tanto in tanto, provare a metterci un sorriso o anche solo un briciolo di autoironia, potrebbe non far male. I grandi cantautori, che per i rapper sono preistoria, lo facevano con una certa frequenza, talvolta tra una lacrima e l’altra.

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