“MACCHINE INUTILI” ED UN ALBUM CHE NON CONVINCE

E’ davvero strano e per alcuni aspetti curioso questo nuovo album di Lastanzadigreta, collettivo artistco torinese che con il titolo “Macchine inutili” è in circuitazione con ben tredici tracce nelle quali ci si trova di tutto, dalla dimensione socio-politoca a quella un po’ fiabesca, dalla noia di certa quotidianità al tretteggio di improbabili personaggi. Dal punto di vista qualitativo, se anzichè tredici le tracce fossero state otto, probabilmente ne avrebbe tratto giovamento l’ascolto. Già, perchè questo album, percorso da testi talvolta interessanti o comunque caratterizzati da una loro originalità, musicalmente appare molto fragile, qualcuno direbbe che non si è andati oltre al “minimo sindacale”.

Sia chiaro, chi maneggia gli strumenti li sa maneggiare, ma si adagia su di un minimalismo cronico che conta troppo sui messaggi, le sensazioni e le emozioni che dovrebbero recare le parole. S’inizia con “Attenzione attenzione”, una sorta di carillon in avvio che assume i contorni di un inno progressista (“…c’è il vecchio mondo che non vuole quello nuovo che tarda ad arrivare…”) e alla fine, più che una canzone sembra di aver letto un manifesto politico. “Pesce comune” è una ballata allegorica socio-ambientalista, musicalmente poco rilevante, non fosse per il timido inserimento di un violino all’inizio ed alla fine del brano. “Canzone d’amore e di contributi” è un brano che gioca tutte le sue carte sul testo mettendo insieme lavoro, amore, tasse, malumori, una sorta di pianto del precario sindacalmente poco tutelato. In “Fiori” spunta invece la questione della raccolta indifferenziata (o differenziata) della monnezza prima di passare ad una sorta di filestrocca che è “Grammatica della fantasia”. Non decolla “Creature selvagge part.2” (la part.1 era quella contenuta nell’album del 2017) mentre “Cavallini” mette insieme episodi di vita di ogni giorno in un contesto generale un po’ tribolato ma musicalmente non sgradevole. In “Greta e la nuvola” pare di cogliere gli echi di una favoletta sorretta appena da un commento muicale molto tenue mentre “Millantaore” propone i tratti di un personaggio un po’ ruffiano e un po’ spaccone, spesso immancabile proragonista di molte compagnie della domenica. “Tarzan (quello vero)” è un brano che pare più un testo di lettura che non una canzone ed in realtà, il testo risulta apprezzabile. “Macchine inutili I” e “Macchine inutili II” hanno il primo l’andamento di una vecchia giosra cigolante ed il secondo di una nenia ripetitiva che si salva, in questo caso, grazie all’arrangiamento e ad un interessante (anche se non entusiasmante) intreccio di voci. E si va a chiudere con “Spid”, un brano che mi convince definitivamente che Lastanzadigreta deve avere un perverso rapporto di odio/amore per ciò che sono fatture, tasse, lavoro, pensioni, fabbriche, uffici, avvolgendo il tutto in un sudario di mestizia. Anche per queste ragioni “Macchine inutili” poteva farsi bastare otto dei tredici brani incisi ed anche quegli otto non sarebbero stati straordinari, ma forse più godibili di quanto non sia un percorso trascinato troppo a lungo, scegliendo, talvolta, tematiche da dopolavoro che a tratti risultano un po’ ostiche. Può certamente fare di meglio ua band che solo quattro anni or sono ha vinto la Targa Tenco per la migliore Opera Prima con l’album “Creature selvagge”.

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