Ma si, parliamo del Festival di Sanremo

Si, parliamo un po’ del festivalone ( e lo faremo a più puntate) che tra pochissime settimane tornerà in scena al teatro Ariston di Sanremo. Una premessa è necessaria: noi non apparteniamo a quella genìa di giornalisti che ogni anno dicono che il festival di Sanremo dovrebbe essere abolito o rivoltato come un calzino, eppoi sono lì, da decenni, ad albergare in hotel a cinque stelle, a presenziare a party e cene offerte da coloro che poi si aspettano qualche trattamento di favore dai giornali.

 

Personalmente frequento la sala stampa del festival di Sanremo da quasi 25 anni, potrei annotare (un giorno o l’altro lo farò, magari con un libro dedicato) paradossi e contraddizioni che, se non avessi colto con le mie orecchie, non avrei immaginato. Ma non da parte della Rai, che impeccabilmente organizza ogni anno questo carrozzone costruito per proiettare fuori dal mondo chi lo vive e lo frequenta. Bensì da parte di chi, in una sala stampa che anno dopo anno si è fatta sempre più affollata, dovrebbe essere lì per parlare di canzoni ed invece delle canzoni quasi neppure si accorge. Oggi, ma ormai da diversi anni, il festival di Sanremo non è più il festival della canzone italiana. E’ un fenomeno di costume. E’ un grande contenitore ove c’è posto per tutto, dalla presentazione dell’ultimo film del regista e degli attori più “immanicati”, alla vacca della Coldiretti esibita davanti all’ingresso del teatro Ariston per protestare contro le quote latte, dalla promozione di improbabili libri, opera di altrettanto improbabili scrittori, sino alla sfilata dei sosia di personaggi internazionali ormai sfioriti, se non già passati a miglior vita, il che genera incontri ravvicinati imbarazzanti e di pessimo gusto. Poi ci sono le chiromanti, gli astrologi, chef più o meno noti chiamati a preparare piatti tipici delle diverse regioni italiane, poi veline, bustine, escort più o meno dichiarate o aspiranti tali,  poi i vivaisti che ogni anno protestano con un comunicato stampa puntuale come la morte, perché sul palcoscenico del festival, ove passa veramente di tutto, non si vedono più i fiori il che, trattandosi del festival della città dei fiori, desta almeno qualche perplessità. Quindi ci sono i “figli di” che sono lì senza sapere fare nulla e senza una precisa ragione, ma ci sono perché sono “figli di” e…..infine, proprio a voler cercarle con ostinazione, ci sono anche le canzoni. Si, una seccatura necessaria, che riesce ad infiammare la platea dei giornalisti italici solo se offre qualche appiglio politico sul quale ricamare, immaginando prese di posizioni e contrapposizioni, per poi correre a raccogliere il pensiero dell’onorevole di riferimento con l’avallo della satita, ormai un po’ trita, di “Striscia la notizia” che molti collegi seguono dalla sala stampa con molto più interesse di quanto non dedichino all’ascolto delle canzoni. Il tutto dando continuità a quel teatrino della poltica fatta per essere smentita, che ci affligge da anni. Del resto, perché infervorarsi per le canzoni? E’ da tempo che i brani che passano da Sanremo non vendono dischi; sono anni che più nessuno fischietta o canta per strada, all’indomani del festival, i motivi ascoltati la sera precendente. Non ne rimane traccia e, un mese dopo la conclusione di quella che dovrebbe essere la più grande kermesse canora nazionale, più nessuno ricorda il nome dei vincitori o il titolo di una canzone.

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