Valerio Scanu, uno dei vincitori dei tanti (troppi) “talent show” programmati in questi ultimi anni in Italia, nonché vincitore di una delle ultime edizioni del Festival di Sanremo, proprio sull’onda del succcesso ad “Amici”, in una recente intervista pubblicata su Repubblica, ha detto cose estremamente interessanti, anche se non troppo inedite. “Dietro a un cantante che ha successo” ha detto Scanu “c’è un talent show che ti promuove, una casa discografica che investe su di te e un management che prende accordi con i network radiofonici. Che però non trasmettono le canzoni perché sono belle, ma perché devono garantire i diritti dei brani, visto che le radio sono diventate il management degli artisti, vedi Rtl con i Modà e The Kolors”. Bello! Bellissimo! Altro che le radio libere degli anni Settanta, ove a decidere le sorti di un artista erano i conduttori dei programmi musicali sulla base delle loro scelte e delle loro competenze. Né scelte né competenze (e si vede!). Oggi contano solo i soldi. “Non sarei Valerio Scanu se non avessi fatto “Amici” ha detto il cantante “ma dopo il talent entrano in ballo le case discografiche, che si dividono gli artisti. E quando la mia discografica ha voluto ‘parcheggiarmi’, ho dovuto mettere in piedi una mia etichetta per sopravvivere. Prendete Michele Bravi: ha vinto ‘X Factor’ , ha avuto pezzi da grandi autori come Tiziano Ferro, eppure non è successo più nulla perché adesso al posto suo c’è Lorenzo Fragola. Anche Mengoni ha avuto problemi dopo la vittoria, è stato gestito male, nel tour che seguì ci furono intoppi in molte date… Siamo troppi e la fabbrica dei talent show, delle discografiche e delle radio ogni anno sforna e brucia altri talenti”. In realtà, li spreme sull’onda emotiva del successo popolare e poi li getta, non appena appaiono i primi sintomi di regressione. Ciò accade perchè le grandi case discografiche (diciamo pure le major, anche se qualcuno tempo fa mi chiese che senso abbia parlare ancora di major e di indie…lasciandomi interdetto come uno psichiatra che un giorno mi disse che tra il malato di mente ed il cosiddetto sano, esistono confini talmente labili, tanto da giustificare interrogativi su chi sia davvero malato e chi sano) non si occupano più dell’artista, ma del business. E il business quasi sempre scaturisce da componenti che poco o nulla hanno da spartire con le canzoni. Complice un sistema televisivo che confeziona bolle di sapone per allocchi e, a sua volta, non promuove più l’artista, ma le potenzialità di audience che possono essere generate da situazioni particolari (ricordate suor Cristina?). In questo “mercato delle vacche” che deve produrre pubblicità (più si fa audience più aumentano i mercati pubblicitari) e business usa e getta per le case discografiche, non possiamo poi stupirci se assistiamo ormai da anni al volo delle meteore. Cantanti, cantautori e band, più o meno talentuosi, a decine, a centinaia, bruciati sull’altare della speranza di un successo effimero destinato a non arrivare mai o a smorzarsi troppo presto. Un caos di voci e di note nel quali tutto cantano, tutti suonano, tutti compongono e, alla fine, inesorabilmente, tutti annegano. Forse si potrà riprendere un discorso serio quando, piuttosto che vendere situazioni, si produrranno emozioni. Di questo passo, davvero….la musica è finita.
Giorgio Pezzana