L’IO, UNO CHE DI… BONTON SE NE INTENDE

Questo cd è pieno di troie, merda, cazzi e culi. Si, proprio così. E lo scriviamo senza esitazioni perchè se ci limitassimo a dire che è farcito in modo eccessivo di termini coloriti, verremmo accusati di “bacchettonismo” e quant’altro, come ormai accade quotidianamente a chiunque si appelli alla dignità ancor più che alla decenza. Il fatto che i giovani parlino così (e non solo quelli di queste ultine generazioni, beninteso) non muta la sostanza.

 

Ma veniamo ai contenuti di questo “Bonton” (che coraggio! Anche se traspare una buona dose di ironia, si spera) di L’Io. Partiamo dai contenuti, francesismi a parte. Buona parte dei brani, pur senza avere testi straordinari, tende comunque ad esprimere qualcosa, ad evidenziare un disagio, una sensazione, uno stato d’animo spesso tutt’altro che sereno. Bene. Ogni generazione, da decenni, attraverso la musica, esprime le inquietudini di un’epoca ed in tal senso L’Io c’è, decisamente c’è. La musica. Qui le cose non vanno altrettanto bene, dopo un avvio alla Vasco con “Zero”, la prima delle undici tracce dell’album, i brani si susseguono, piuttosto noiosamente, senza decollare mai, producendo un livello di fruibilità sempre medio-basso e al contrario, raggiungendo un respiro “radiofonico” solo con “Buongiorno un cazzo”, per altro non esattamente promovibile per via del riferimento esplicito alla protuberanza maschile scientificamente nota come pene. La voce non è così male, anche se s’inerpica talvolta su percorsi con una linea melodica improponibile. Gli arrangiamenti sono mediocri, senza troppi colori e troppa originalità. In questo lavoro i lati positivi vanno cercati con convinzione e pazienza. Quindi questo cd più di altri è assolutamente nelle mani (meglio, nelle orecchie) di chi ascolta. Con l’augurio di trovare gli ascoltatori giusti.

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