LA MUSICA? UNA SCHIZOFRENICA DALLA DOPPIA PERSONALITA’

vannini

Sta per concludersi la lunga cavalcata di contributi di artisti, giornalisti, discografici, operatori della musica che rispondono ai questi posti da Musicamag: “La musica è finita? Quale futuro per la musica?”. Questa volta ad intervenire è Francesco Vannini, compositore, chitarrista, cantautore di origini siciliane.

La musica leggera, per intenderci cioè quelle dieci canzoni che ascolti centocinquanta volte al giorno in ogni grande network radiofonico non è morta. La sentite. Ogni giorno. Succede poi che c’è un altro settore, molto più in basso, conosciuto solo dai parenti e gli amici strettissimi o da pochi pazzi che davvero leggono il post sponsorizzato a due euro sul social network di turno dove c’è scritto che forse una tal canzone andrà in onda nell’ultima delle radio di Favignana, ma non si sa quando, perché le scalette in quella radio servono solo per salire in regia. Ecco, quel settore che ogni mattina si sveglia e sa che dovrà correre più veloce dell’autobus, perché altrimenti resterà a piedi nella savana di Palermo a Luglio, invece viene considerato come morto. Non esiste! Forse non è mai esistito! Se ne parla come di una leggenda buona per ribadire il fatto che i musicisti di oggi devono trovarsi un lavoro serio e smetterla di sforare di mezz’ora l’orario condominiale con le loro fastidiosissime chitarrine scordate. Sicuramente nessuno ne ha mai sentito traccia, perché poi, comunque, il direttore artistico dell’ultima radio di Favignana non è stato capace di scaricare l’mp3 sponsorizzato a due euro dal suo Commodore 64 e quindi niente…anche stavolta vi beccate “Uno su mille” del promettente Morandi. Provocazioni a parte, andiamo al succo del discorso: frega davvero a qualcuno che al posto di una canzone nuova, sia stata mandata quella del Giannone nazionale oppure crea danno solo al giovane artista che, sua culpa, ha provato a mandare una cartolina digitale con tutto il suo lavoro pagato col sangue a un’emittente radio con la speranza di avere due minuti e mezzo di visibilità in un’isoletta persa nel Tirreno? La risposta la conosciamo tutti, altrimenti non si spiega come sia possibile che ogni giorno siamo indifferenti all’ascolto continuo e inarrestabile delle stesse dieci canzoni in radio. Ma direte voi che la radio ormai è il passato e oggi c’è Spotify. Certo, sono daccordo! Allora prendiamo in esame anche Spotify, il cui creatore si lamenta che gli artisti non producono abbastanza per farlo arricchire più di quanto sia ricco. Vi faccio un paragone rispetto agli artisti e Spotify: immaginate Spotify come un’azienda che vi dice che il vostro ristorante da oggi potrà essere visibile a tutti e, come il vostro, qualsiasi ristorante si volesse iscrivere a questa piattaforma. Facile no? In cambio vi darà visibilità potenzialmente infinita e in più vi ripagherà con 0,00000000000001 euro ogni piatto venduto nel vostro ristorante. Come? Dici che non è conveniente? Perché? Perché la materia prima costa, la mano d’opera costa, l’elettricità della cucina e della sala costano, perché l’affitto del locale costa ecc…e voi prendereste soltanto un uno alla fine di tredici zeri dietro una virgola con un altro zero davanti? E allora come mai Spotify applicato alla musica, dove la sala prove, lo strumento musicale, la manutenzione, il lavoro di arrangiamento, la registrazione, il missaggio, il mastering, la stampa, la pubblicità hanno un valore hanno dei costi decisamente alti, funziona e lo utilizziamo tutti senza problemi? Perché la musica è schizofrenica. La musica è business e in quanto business risponde soltanto al profitto e di conseguenza, se scegliere un ragazzino che vince un talent show e accetta di firmare contratti al limite dell’osceno fa guadagnare il massimo col minimo investimento, sarà quella la strada che il business seguirà. Il resto del mondo delle briciole poi si unirà a questo giro della morte solo per poter dire di essere presente su un catalogo con potenziale visibilità mondiale che si traduce nei 6 ascolti mensili che fanno mamma e papà quando ascoltano la canzoncina del figlio e si chiedono com’è potuta costare 3000 euro di lavoro. Tanto tutti continueranno ad ascoltare radio senza prestare attenzione a quali canzoni manda, anzi evidentemente la ripetitività ha iniziato ad essere un valore positivo nell’ascolto (vedi musica live nei locali di ogni città, dove le cover di qualcosa di già conosciuto sono largamente preferite alla musica originale). Se non fosse sbattuta in faccia gratuitamente a chiunque ha una connessione internet, probabilmente la musica sarebbe un lusso di cui in pochi sentirebbero realmente la mancanza. Invece si ritrova ad essere una specie di accompagnamento non richiesto, come la ragazzina del locale sotto casa che, stonata come una campana, è convinta di allietare gli avventori del suddetto locale cantando sulle basi midi per due ore a sera, tre sere a settimana.

La vera domanda, in conclusione, è: quale delle due personalità è la musica? Un supplemento di qualcos’altro avvolto due volte nel cellophane o un lusso che, se non fosse regalata a monte, forse qualcuno vorrebbe concedersi, pagandola il giusto? E perché la verità non può stare in mezzo, come per tutte le cose del mondo?

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