LA MUSICA NON MUORE. LA MUSICA CAMBIA

Rossana Pica

Altro intervento sul tema “La musica è finita? Quale futuro per la musica?”. Questa volta a far sentire il suo parere è Rossana Pica, chitarrista, cantante, compositrice, docente, fondatrice del gruppo Rossoporpora con il quale ha condiviso molti successi a festival e rassegne, consensi che ha raccolto anche come solista discreta e raffinata.

“Si stava meglio quando si stava peggio”, “non ci sono più le canzoni di una volta”, “ai miei tempi sì che la musica si poteva definire tale.” Potremmo andare avanti all’infinito con una serie di frasi fatte e luoghi comuni su come il declino della musica sia qualcosa di strettamente connesso al tempo che scorre. Credo che la verità, se si può ragionare in questi termini, stia proprio nel mezzo. Ricordo molto bene quando ero adolescente e mi chiudevo in camera mia ad ascoltare la mia musica, quella che trovavo maggiormente vicina al mio modo di sentire. Era una musica che mi emozionava, che parlava il mio linguaggio, che si interfacciava con il contesto in cui vivevo. Quella musica era il mio mondo. E ricordo altrettanto bene quanto i miei genitori considerassero le canzoni pop e rock che uscivano dal mio mangianastri negli anni ’80 e dal mio lettore cd dagli anni ’90 in poi, una sorta di impoverimento ai limiti del degrado musicale. Loro che avevano vissuto gli anni ’60 e ne osannavano la bellezza in termini di melodie orecchiabili cantate da voci che realmente si potevano considerare tali, deridevano talvolta la voce nasale di Eros Ramazzotti e le stonature di Gianna Nannini, o peggio ancora definivano incomprensibili alcuni artisti rock internazionali, alla ricerca di soluzioni musicali originali inaccettabili. Da quel momento ho cominciato a rendermi conto che nessuno di noi riesce ad essere obbiettivo quando si parla di musica e tutti finiscono per credere che la musica prodotta nella fase adolescenziale della propria vita sia stata indubbiamente la migliore che potesse esserci. Ma è un errore, un grave errore. Anche io commetto probabilmente la stessa mancanza quando snobbo la musica che va di moda in questi ultimi anni. Mi sforzo di comprendere quale bellezza possa nascondersi dietro certa musica hip hop, rap, trap. Cerco di capire, quindi chiedo ai miei studenti cosa ascoltano e rimango basita dall’elenco che mi snocciolano con tanta disinvoltura: Salmo, Nitro, Dark Polo Gang, Sphera Ebbasta, Madman, Emiskilla, Juice World, XXX Tentacion, Bob Smoke, Post Malone, ma poi mi fermo qui sennò l’elenco diventa infinito e non mette a fuoco la riflessione che vorrei fare circa il quesito: ”la musica è finita?”   La musica non muore per il semplice motivo che cambia genere. Possiamo non condividerla perché si allontana dalla concezione di mondo che abbiamo noi o che avevamo nella nostra fase adolescenziale o perché utilizza un linguaggio intriso di termini per noi desueti. Però trovo ci sia qualcos’altro di preoccupante che sta consumando la bellezza della musica, come un cancro nascosto che piano piano va ad erodere quella musica creata con la passione, con la dedizione, con il tempo e con la lentezza che è necessaria affinché l’artista con la sua musica si fortifichi e cresca veramente, perché, come dice un vecchio proverbio “cresce bene ciò che cresce piano”. E allora sono i talent, venuti su come funghi e oramai diffusi ovunque in televisione, a trovarmi in totale disaccordo e disarmonia con il concetto che ho di musica. Programmi come X-Factor, The Voice e Amici sono in grado di esaltare unicamente una cosa, ovvero la spettacolarizzazione sotto mentite spoglie. Il prodotto “usa e getta” per tenere gli spettatori incollati alla TV quanto basta per fare audience. Non si parla più di artista e opera d’arte, ma di vittima sacrificale che nel giro di pochissimo tempo viene confezionata come prodotto di largo consumo e data in pasto ad un mondo di persone dai gusti sempre più omologati, distratti e annoiati. Ed è qui che dobbiamo entrare in gioco noi, rifiutandoci di accettare un cibo già masticato, di credere ad una finta gavetta e ad un’assenza di sostanza. Perché la musica, almeno in un momento della nostra vita, ci ha tolto dai pericoli, ci ha reso persone migliori, quindi noi abbiamo il dovere morale di salvarla da chi non la ama abbastanza.

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