LA FILIERA DELLA MUSICA E’ UN GIGANTE DI CARTA. MA ESISTE ANCORA LA MUSICA VERA

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Prosegue con il compositore, musicista e artista visuale Alessandro Zannier, noto anche con lo pseudonimo Ottodix, questa lunga cavalcata sul tema “La musica è finita? Quale futuro per la musica?” promossa dalla nostra rivista e che, sino al prossimo mese di maggio, raccoglerà contributi e testimonianze di operatori del mondo della musica sulle tematiche proposte. Tutti gli interventi saranno poi oggetto di una pubblicazione a cura della sezione editoriale dell’Associazione Artistica AnniVerdi e di un successivo convegno, in occasione dell’edizione 2021 di Biella Festival.

Il futuro della musica è una questione davvero complicata, bisognerebbe mettere un po’ di ordine e capire se si sta parlando del mercato della musica o la musica in sé stessa, in purezza, ovvero il “fare musica” e anche di un certo livello e senza compromessi. Il primo aspetto guarda alla filiera che va dal musicista-artista al fruitore e che dovrebbe tenere in piedi economicamente il settore. Questo aspetto “industriale” della musica, fatto di vendita dischi o scaricamenti brani con relativi sponsor e pubblicità di terzi, o concerti in arene, palazzetti, piazze con agenzie di spettacolo e supporto televisivo annesso (talent vari), è una specie di gigante di carta, poiché investe in budget e strutture ancora faraonici, sulla falsa riga della musica pop dei tempi d’oro, quando era ancora un businnes conveniente, ma di fatto puntando tutto su cavalli zoppi, canzoni deboli e mode sonore appiattite su standard internazionali usa e getta, sul trash per adolescenti o bambini, che ormai  formano la maggioranza del pubblico e che tuttavia fruiscono della musica senza nessun interesse duraturo per chi la fa.

Se arriva una pandemia, una crisi finanziaria, una stagione estiva di maltempo, questa filiera già al limite di guadagni risicatissimi, tende a implodere, poiché non basa la sua esistenza su prodotti di qualità a lunga scadenza, anche pop, in grado di costruire figure di artisti pop iconiche (e quindi durature anche come investimento).

Metà del pubblico che fruisce di musica, ormai, anche quello giovane, se proprio deve appassionarsi di musica, si rifugia nell’epopea del pop e rock del passato, con i suoi eroi inossidabili e venerati come condottieri che hanno fatto le guerre puniche e hanno affrontato folle oceaniche negli stadi. Insomma, credo che la filiera della musica pop, quella mainstream, non sia più in grado di fidelizzare il pubblico come un tempo. Ha invece assecondato il trend (errore gravissimo) dell’impoverimento dei gusti e della semplificazione dilagante della società reale, piegandosi fino al ridicolo, con testi e melodie da asilo infantile, divenendone così lo specchio fedele.

Reggaeton e Trap oggi sono prodotti ben confezionati dal punto di vista dell’elettronica, che però li “traveste” in modo sempre più autoreferenziale e uguale a sé stesso, risultando a un apice di cattivo gusto senza precedenti e forse specchio della preparazione e dell’interesse culturale medio del Paese. Il mercato infatti, già in crisi di suo, invece che reagire a colpi di canzoni senza tempo o progetti validi e nuovi, incita i suoi artisti, anche i pochi provenienti da ambiti leggermente più alternativi o sofisticati, ad abbassare l’asticella e omologarsi a questo trash diffuso, ottenendo una programmazione radiofonica in cui nulla più si distingue. Il pubblico medio poi ha un’età che comincia a scendere sotto i 15 anni e infatti da anni le canzoni mediamente, fateci caso, sfidano le sigle dei cartoni animati per bambini sullo stesso puerile terreno. Questo va avanti da anni, non è solo colpa della trap o delle Elettra Lamborghini o dei “geni” (…) acclamati come i borgatari vestiti da Maria Antonietta stile Achille Lauro. Ci sono anche cantautori che passano per sofisticati, pure tecnicamente preparati, che si prestano a queste infantili litanie (alcuni pezzi di Max Gazzè da anni sembrano cose di Cristina D’Avena), o altri che con un sussurrato tattico, fanno i maschietti avviliti, chiusi in camera a soffrir d’amore (Tommaso Paradiso e molte altre nuove leve dell’indie pop)… Una purea indistinta di mancanza di carisma, di novità e di canzoni che anche sui più giovani alla lunga non lascia alcun segno. Idoli di carta, mercato di cartapesta.

Non è affatto vero che ogni epoca ha i suoi eroi. Questa non ne ha.

Dall’altra parte abbiamo la musica buona, originale, sofferta, di ricerca, che si interroga, che cerca accordi nuovi, temi, approcci, suoni, armonie diversi, che rende sempre meno, che fa fare la fame, ma che continua a produrre bellezza, inascoltata ai più. Credo che l’epoca che viviamo, incapace di concentrazione e di analisi di contenuti, stia abbassando a tal punto la soglia e il tempo di attenzione, da aver quasi cancellato il bisogno di musica nell’utente medio. Solo brevi filastrocche.

La musica come la si conosceva, quella leggera ma appagante, quella impegnata e visionaria, non serve apparentemente  più a nessuno, invece mai come ora si dovrebbe affrontare un nuovo Rinascimento musicale, che unisca la parte colta e di spessore, fatta di grandi armonie, grandi testi e suoni nuovi, con quella della fruibilità, dei ritornelli, per diventare uno strumento formidabile di divulgazione di cultura a metà strada tra nicchia e nazionalpopolare. C’è bisogno di un cambio di marcia, a cominciare dai contenuti dei testi, sempre più autoreferenziali e circoscritti a crisi amorose, noia esistenziale, feste in piscina tette e cocaina, e poco altro. Intanto il mondo lì fuori corre alla velocità della luce verso sconvolgimenti senza precedenti. Capite che è sconcertante il sonno di un trapper diciottenne concentrato solo sul suo disagio rionale, costruito tra l’altro a tavolino?

Una volta se ti avessero domandato le 10 cose che avresti portato su un ‘isola deserta, sicuramente una era il tuo disco della vita. Ora non più.

 

 

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