GLI SPAZI DI GIOVANNI PELI

Ho conosciuto artisticamente Giovanni Peli qualche anno fa in occasione dell’edizione di un disco-tributo a Leonard Cohen (“Vestito per amare”), che ci ha visti entrambi impegnati nella rivisitazione di un brano del maestro, e già in quell’occasione mi avevano colpito il gusto, la misura e l’intensità del suo contributo, tra i migliori dell’album. Le stesse qualità, unite ad una scrittura lucida e sottile, ritrovo ora nell’EP “Specie di spazi”.

In questo lavoro la dimensione acustica ed intimista entra in relazione con un’elettronica straniante ed ipnotica, che amplifica un disagio di sentimenti feriti e frasi spezzate al cospetto di tempi e spazi in cui la sensibilità schiva del cantautore non sa e non può riconoscersi (“La gente si scanna per un palco”), finendo per proiettarsi inevitabilmente verso un altrove ipotetico (“Essere da un’altra parte facilita più di una felicità”) che a tratti assume fisionomie concrete e carattere di rivendicazione (“Io almeno ho avuto il coraggio di sognare Berlino”). “Non c’è più spazio per cantare l’amore / ora si canta l’urgenza, la separazione, la differenza” è il verso-manifesto intorno a cui si sviluppa un lavoro coerente che merita attenzione e tempo

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