FOLGORI, LA POESIA DI “VIENI VIA”

Da alcune settimane è uscito il primo album di Leo Folgori, cantautore della provincia romana che racchiude in dodici tracce il suo percorso intitolandolo con una esortazione: “Vieni via”. L’album era stato preceduto dal singolo (e dal videoclip) “Il ballo del serpente” che introduce in modo curioso all’ascolto di un cd che, via via, va ben al di là di quella dimensione vagamente country and western che quel brano suggerisce.

 

Ed è proprio il brano che segue, “Vieni via”, quello che dà il titolo al progetto, che ci convince sulle potenzialità di questo artista che affida ad una ballata intensa un testo che è poesia vera (“Vieni via, non temere gli uragani, lascia i pensieri sopra lo specchio, li porta via il vento quando arriva domani”). E la conferma viene da “Ultimo padiglione”, ritratto di abbandono e disperazione ravvivato da un lampo (“…in cerca di te che sei la mia ultima idea…”), che precede “Autobahn”, un omaggio allo scrittore Pier Vittorio Tondelli di cui un testo tratto dal romanzo “Altri libertini” diviene canzone, ma una canzone incalzante, drammatica, nella quale si alternano sapientemente le voci di Folgori e di Marzia Stano. Sicuramente, con “Vieni via” il brano più bello dell’album. “Il giorno sta passando” ci riporta alle immagini, spesso fortemente allegoriche, che la ruvida voce dell’artista tinge di colori intensi. “Altri libertini” non appare invece del tutto convincente, ma subito dopo ecco “Ballata stonata”, altra bellissima “perla” sia per la ricercatezza del testo (….”ho affogato il mio cuore sui tuoi ritratti”…) sia per un arrangiamento che in chiusura di brano ripropone un coro coinvolgente e stanco da vecchia osteria di un tempo. “Notturno cittadino” pone per l’ennesima volta in risalto il testo e la tromba di Antonino Vitali con un verso conclusivo che merita la citazione … “Dice che ha assistito alla crocifissione e che ha provato un certo imbarazzo nel vedere quell’uomo che muore solamente per amore e per tutti quelli come noi che oggigiorno non ricordano più il suo vero nome…”. “Lo studente”, ancor più di altri brani, pone invece in risalto la capacità di Folgori di narrare storie e vicende umane, uscendo dagli schemi della ripetitività metrica ed accompagnando l’ascoltatore attraverso esperienze e sensazioni che poco a poco danno colore alla sua storia. Da segnalare ancora “La vita”, poesia allo stato pure che in buona parte l’autore recita. Nell’insieme un lavoro piuttosto sorprendente, che merita un ascolto attento e, in taluni casi, anche ripetuto. Apparentemente difficile, ma reso fluido da una musicalità assai immediata. Ha collaborato in tutti i brani con Folgori, Luca Manoni.

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