E’ questo “Ferite e feritoie”, recente album di Paolo Capodacqua, come un libro che va ascoltato o come un disco che va letto, perché la musica e la letteratura si intersecano ripetute volte in queste undici tracce. Quasi a voler significare che la canzone d’autore non può essere circoscritta nello spazio riduttivo e fugace di una canzone. E’ un album indubbiamente a lungo meditato, costruito come una castello di carte, pezzo su pezzo, con estrema attenzione. Attenzione ai particolari, ai riferimenti, alla musica ed a chi la suona, alla poesia che più volte dà un’affettuosa spallata alla voce che canta, per farne un ideale evocatrice di immagini dentro alle quali perdersi dietro ad un pensiero.
In realtà, non comincia benissimo questa passeggiata tra emozioni e sentimenti. “”Gli amanti segreti”, gradevole nel testo, ha però una linea melodica a tratti incerta che ne fa una canzone non del tutto convincente, nonostante la bella fisarmonica di Nunzio Cleofe, che ritroveremo. Poi però, inizia il decollo con “Gli occhi neri di Julia Cortez”, brano che si rifà ad un reportage di Angelo Ferracuti (che scrive anche le note introduttive del piccolo book che accompagna il cd) e Giovanni Marrozzini che per il “Venerdì” di Repubblica hanno incontrato Julia Cortez, una maestra che insegnava nella scuola di La Higuera dove era detenuto Che Guevara. E si cresce ancora con “Il mare di Milano” un gioiellino di delicatezza con altrettanta delicatezza cantato e musicato (la canzone è ispirata ad un passaggio del libro di Ugo Riccarelli, “Il dolore perfetto”). E poi, “L’uomo senza nome”, con un testo di grande intensità poetica ed una linea melodica forse un po’ noiosetta, ma che passa in secondo piano e diventa anzi più accettabile a mano a mano che ci si immerge nei vari quadri che vanno a formare il racconto. Si cambia completamente registro con “Il ladro”, una canzone agile, divertente, che mette in risalto la maestria di chi maneggia gli strumenti strizzando l’occhio al jazz ed allo swing con il pianoforte ed il sax di Giuseppe Morgante (che si è anche occupato degli arrangiamenti dell’intero cd), il contrabasso di Emilio Morgante, le percussioni di Carlo Morgante. Finchè Capodacqua decide di prendersi una pausa e lascia che siano i musicisti a vedersela con un brano interamente strumetale intitolato “Palermo”. E si riprende quindi con “Per questo mi chiamo Giovanni”, testo raffinato, strumentalmente molto interessante, con la partecipazione di Pippo Pollina (il brano trae spunto dall’omonimo libro di Luigi Garlando). “Il nido degli uccelli” pare quasi una ninna-nanna di estrema dolcezza e fa anche capolino la voce di una bimba, Ilaria Capodacqua, da una registrazione di alcuni anni or sono. “Il canto dell’aviatore”, con un breve testo tratto da “Le Petit Prince” di Antoine de Saint-Exupéry e letto da Roberto Piumini, è un’altra parentesi di poesia, impreziosita musicalmente dal sax di Nicola Alesini. E si volge al termine, con “Rosafiore”, un brano non straordinario, ma certamente curioso, ancora per il riferimento all’opera di Saint-Exupéry e, tanto per non farci mancare nulla, in chiusura, un breve canto, rielaborazione del ritornello in gaelico di Kay McKarty e la voce fuori campo di Jenný Lárentsínusdóttir. E, come se non bastasse, c’è anche una bonus track con Capodacqua alle prese con “L’albero ed io”, canzone di Francesco Guccini e la magica chitarra acustica di Juan Carlos “Flaco” Biondini. Siamo insomma al cospetto di un lavoro importante, accurato, frutto di una ricerca attenta ed appassionata, che ha portato alla stesura di dieci tracce (tutte di Paolo Capodacqua) che lo stesso autore ha poi interpretato, concedendosi ripetutamente qualche cadenza deandrèiana che in un lavoro tanto complesso e colto, suona quasi come un omaggio a “Faber”, così come lo è di certo la cover, ben eseguita, della canzone di Guccini.