COSI’ LARICCIA VUOLE…RICOSTRUIRE

Giacolo Lariccia è un cantautore italiano che ormai da diversi anni vive con la sua famiglia a Bruxelles. Ha al suo attivo un percorso musicale piuttosto vivace che lo ha condotto in varie località europee e ripetutamente in Italia ove le sue canzoni sono state proposte in diversi contesti musicali approdando anche in Rai nell’ambito di un programma che aveva per tema la migrazione. La sua ultima fatica discografica s’intitola “Ricostruire”, un album dal quale è stato ricavano anche un omonimo singolo con il relativo video. L0 abbiamo incontrato nel pieno della preparazione di un lungo tour europeoi.

“Ricostruire” è il titolo della tua nuova canzone, ma di questi tempi pare che da ricostruire nel mondo ci sia molto, a cominciare da un tessuto sociale sempre più sfaldato. In questo senso va interpretato questo tuo nuovo lavoro?

Il tema di “Ricostruire” è la fragilità. Sembrano concetti distanti ma secondo me non lo sono troppo. Il disco esplora diversi aspetti della fragilità: l’equilibrio, a volte instabile, della propria serenità, la fragilità delle relazioni fra le persone, anche delle relazioni d’amore, la difficoltà di dare un senso al mondo che ci circonda. Davanti a questa fragilità l’unica risposta che mi sono dato è che non bisogna smettere di ricostruire e ricominciare anche dove è stato distrutto. Pensiamo anche alle relazioni internazionali che negli ultimi anni si stanno complicando sempre di più aprendo scenari di guerre sempre più vicini, oppure al crollo dell’Europa provocato da populismi e dalle ricerche di consenso spesso meno responsabili. Davanti a questi scenari l’unica risposta che mi sono dato è che non bisogna cessare di ricostruire se stessi e il mondo che ci circonda per il meglio.

In alcuni tuoi brani (e questo è tra quelli) si ravvisano contenuti che riconducono alla preghiera, a quei concetti di umiltà che paiono dispersi. E’, il tuo, una sorta di monito rivolto a chi pensa sia possibile un’esitenza senza Dio?
Ho molto rispetto per il cammino spirituale di cui parli e, forse, nei miei testi, si possono trovare dei riferimenti a quel tipo di ricerca “verticale”. Sicuramente quel senso di fragilità di cui ti parlavo prima può trovare una risposta in un dialogo, anche polemico se vuoi, con Dio ed è piuttosto questo quello che c’è dentro ricostruire. Ci sono domande (“Ricostruire”), richieste di aiuto (“Luce”) che ho sentito di voler condividere con chi ascolterà il disco.

Sei italiano, ma da tempo vivi a Bruxelles, cioè in quella città che dovrebbe essere il cuore pulsante di un’Europa che sembra avere perso le sue certezze ed i suoi entusiasmi. Cogli anche tu, nel luogo in cui vivi, questi stati d’animo?
Da Bruxelles questa crisi di fiducia nell’Europa io la vivo come una incomprensibile corsa verso il baratro. Qui a Bruxelles l’Europa si vive e si respira ogni giorno, nelle relazioni, nel lavoro, per strada, in ogni angolo della città. Per cui mi pare assurdo solo ipotizzare una marcia indietro nella direzione opposta a quelle che abbiamo seguito in questi decenni. I nostri nonni si sparavano addosso e noi ci siamo così assuefatti alla pace che regna fra gli stati Europei che pensiamo di poter distruggere tutto e arrischiarsi verso chissà quale percorso…

Oltre a questo brano ed al video che lo accompagna, quali sono i tuoi progetti immediati?
Dopo il sold out del primo concerto qui a Bruxelles abbiamo iniziato la tournée che ci porterà in Francia, Svizzera, Germania, Israele e naturalmente Belgio e Italia. Ci saranno altri videoclip estratti da “Ricostruire” alcuni suonati dal vivo nella stessa sessione dei Dadà Studios di Bruxelles altri girati con altre tecniche. Non voglio anticipare troppo, altrimenti che sorpresa saranno?

Ha ancora un senso essere cantautore oggi? Avrai avuto modo di leggere le dichiarazioni del nuovo direttore artistico del Premio Tenco che ha detto che la sua percezione di cantautorato si è fermata ai Guccini, ai Vecchioni, ai De Gregori e che dopo di loro non ha più vissuto sensazioni paragonabili perchè nessuno è più riuscito, a suo dire, a dare continuità al cammino di quei personaggi. Tu, da cantautore, pensi di poter condividere quel pensiero?
Io da adolescente ho iniziato a fare musica (prima ancora di scrivere canzoni) perché trovavo una grande realizzazione e piacere nel farlo. Inizialmente non mi sono posto il problema se avesse senso o no. Ero felice quando potevo suonare, studiare musica e fare concerti ed ero infelice quando smettevo. Dopo essermi stabilito a Bruxelles, per una serie di motivi, ho iniziato a scrivere canzoni e mi è piaciuto così tanto che senza nessun rimorso mi sono allontanato dal mondo del jazz dentro il quale mi ero immerso in quegli anni. Ha senso essere cantautore? Per me si, ne ha tanto. Mescolare parole e musica, produrre dischi, portarli in giro per il mondo, scrivere canzoni con la più totale onestà su temi che mi stanno a cuore e avere anche l’opportunità di essere ascoltato è una cosa che non ha prezzo. Poi gli ascoltatori e i critici giudicheranno quello che ho fatto. Per ora io ho l’impressione che la cosa più difficile sia farsi ascoltare soprattutto dalla gente del settore. Ho l’impressione che siano di più le orecchie chiuse che quelle aperte.

 

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su pinterest
Pinterest
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su telegram
Telegram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *