Non sentivo Carlot-ta dai tempi di “Murmure”, il suo penultimo album che mi aveva letteralmente stregato perchè pensato completamente ricavando le composizioni ed eseguendole con l’ausilio di un organo a canne. Era stato registrato nella Cattedrale di Sant’Andrea a Vercelli, ricavandone anche un video di grandissima suggestione. Si trattava di undici tracce assolutamente al di fuori da ogni schema, con l’imponente strumento suonato dalla stessa Carlot-ta, ad accompagnare la sua voce.
Sono trascorsi circa sei anni dall’uscita di quell’album straordinario ed oggi ritrovo l’artista che ha lasciato il suo nome d’arte per riprendere la sua vera identità anagrafica, quella di Carlotta Sillano, originaria di Vercelli, polistrumentista oltre che cantante (suona chitarra, pianoforte, tastiere, synth) e che per la prima volta canta in italiano nel suo nuovissimo album intitolato “Nella natura vuota dei simboli appassiti”. Non è un lavoro facile e va detto sin da subito, anche se la voce di Carlotta e la maestria di certi arrangiamenti aiutano a rendere più accessibile il tutto. A voler però dedicare moltissima attenzione a buona parte dei testi, coniugandoli con la musica che li accompagna, si riescono a tratti a cogliere immagini di un’assoluta poeticità che scorrono attraverso figure nitide e solari alternate a fugaci ombre che giungono dal passato. Sono dieci tracce che decollano con “Moderata fonte”, brano di apertura che ben identifica sin dalle prime battute il contenuto di questo progetto; a mio avviso è una delle cose migliori di questo lavoro, un brano che affonda le note in atmosfere rarefatte attraversate dalla bella voce di Carlotta sorretta da un arrangiamento solido e deciso. I brani offrono immagini e sensazioni reali collocate accanto a percezioni di ricordi che vengono da lontano e ciò che può apparire confuso e dal senso incerto è in realtà il correre rapido del pensiero senza una razionalità apparente. In questa dimensione colloco anche “Wunderkammer” che forse non è una delle espressioni migliori dell’album ma che, per certi versi, meglio ne sintetizza gli intenti. Trovo poi bellissimo “Archeologie”, con una sontuosa cornice musicale per un brano che ha forse una linea melodica meglio fruibile di altri, e che per questo più facilmente trasporta. Ed è un bel pezzo anche “Monumento”, una sorta di filastrocca cadenzata scandita da un bellissimo testo ottimamente articolato. Mi piace “La canzone dell’oblio”, dal testo un po’ enigmatico ove però immagini e sensazioni si rincorrono, in “Vanitas” la cornice musicale si fa più drammatica mentre “Un desiderio nuovo” che chiude l’album ha il passo lento di una riflessione profonda e greve. Carlotta ha scritto musiche e testi ed ha suonato chitarra, pianoforte, tastiere, synth oltre ovviamente ad averci messo la voce. Ma si è avvalsa anche di collaborazioni che hanno avuto un ruolo importante nella definizione di questo non facile progetto e che mi piace citare: la produzione elettronica di Corgiat, l’organo e le chitarre di Alessandro “Asso” Stefana, le percussioni di Paolo Pasqualin, l’arpa di Cecilia Lasagno, le voci di Christopher Ghidoni e del quartetto Edodea con l’arrangiamento e la direzione di Stefano Nanni. Insomma, un lavoro che si è fatto attendere qualche anno e che ci propone un’artista che ha saputo rinnovarsi senza tradire il suo passato artistico; un disco consigliatissmo a chi sa ancora ascoltare o, almeno, si sforza di farlo.