022016032019: OTTO TRACCE PER WILLY WONKA WAS WEIRD

“022016032019” non è un numero di telefono né un codice Iban, ma è il titolo dell’album di Willy Wonka Was Weird (al secolo Paolo Modolo) che segna l’esordio del cantautore trevigiano pubblicato e distribuito da ( R )esisto. Partirei da una premessa: l’autoreferenzialità che porta all’ermetismo non è mai una buona cosa nell’arte, qualunque sia l’espressione artistica, perché preclude l’interazione con chi ascolta o chi guarda.

In questo caso, parlando di un cd musicale, diciamo che chi ascolta può cogliere suoni e voci, ma quasi mai il senso, se non dei suoni, certamente della voce, che si rifà a testi pressochè incomprensibili. Testi che certamente vanno ricondotti ad emozioni e riflessioni di chi li canta, testi che in alcuni casi rivelano una stesura sofferta, ma salvo un paio di eccezioni, si tratta di frasi e parole alle quali è difficile dare un senso. Si viene a sapere poi (ma non dal disco) che l’intento iniziale era quello di omaggiare il figlio nascituro, al quale mi auguro si troverà il tempo ed il modo di spiegare, uno ad uno, i contenuti di questo album a lui dedicato. Ascoltando il primo brano, “Muro di tempo”, si potrebbe anche pensare che, in fondo, nell’interazione tra chi canta e chi ascolta, il testo possa essere assolutamente secondario, visto che qui ci troviamo al cospetto di uno tsunami di note scaricate con fragore tale da rendere appena percettibile la voce e, di conseguenza, assolutamente incomprensibile il testo. Va un po’ meglio con “Vuerre in briciole” in cui, almeno nella prima parte, la canzone è una sorta di ballata per voce e chitarra acustica, salvo poi esplodere, rievocando i primitivi deliri; il testo è un po’ naif (“…Goccia a goccia io svanirò/marnellata di perle tra noi/sfatto nel fatto, una mano la tua/da qualche parte sei qui con me/dietro la foglia caduta per te…”). “L’ordine del caos”, ancora una volta propone voce e chitarra, un canto piuttosto sofferto, una linea melodica finalmente più coerente. Con “Willy Wonka era strano” si torna al caos, la dimensione rock vuole essere prepotentemente presente in questo lavoro, anche se talvolta si ha la sensazione che sia tirata per i capelli; e la voce torna ad essere sommersa. “Nel nostro giugno” è una canzone con un testo tutto sommato delicato pur nel suo cocciuto ermetismo e la musica che l’avvolge convince poco (ancor meno un finale che probabilmente è tutto nella mente dell’autore). “Puntino” ha un testo estremamente essennziale, ma più “leggibile”, chitarra e voce ma poi ancora un non meglio motivato rock. Per imbattersi nei due pezzi migliori è necessario arrivare alla fine dell’album, laddove si può ascoltare “Marzo 2019” che è un brano che rivela una poetica più immediata, intenerisce con la vocina di un bimbo (bimba?) che si inserisce ad un certo punto del contesto e che fa “arrivare” ancor più una canzone che nella sua ripetitività trova però un piacevole ascolto. E si va a chiudere forse con il pezzo migliore, “Rosa di Basquiat”, finalmente con un testo che ha un senso compiuto, voce e chitarra questa volta narranti, linearità e semplicità per un gradevole ascolto. A parte le considerazioni iniziali su queste otto tracce, il progetto non convince del tutto anche per alcune forzature che paiono messe lì quasi per allontanare il dubbio che possa trattarsi di un percorso interamente cantautorale. L’essere cantautori un tempo era un vanto, oggi pare talvolta un qualcosa da rivestire di diverse spoglie. Musicalmente non vi è una ricerca che possa dare uno spunto di particolare originalità. Si percepiscono potenzialità, non sempre espresse sino in fondo.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su pinterest
Pinterest
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su telegram
Telegram

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *