L’album di Adriano Tarullo, “Storie di presunta normalità”, scaturisce da un’idea tutto sommato non nuovissima, ma sempre intrigante: quella di raccontare delle persone, vivere attraverso loro delle situazioni, storie di gente insomma.
E s’inizia subito con una figura importante nella vita di ognuno, quella del padre, in questo caso un padre affetto dall’Alzheimer che lo immerge sempre più in un modo tutto suo, ben descritto da Tarullo nel brano “Bastarda malattia”, dalla linea melodica un po’ incerta; segue “Lei casca dalle favole”, un titolo accattivante per raccontare la storia di una ragazza alla ricerca di una dimensione più felice in una sorta di ballata dal buon andamento e con un testo che ripetutamente sfiora la dimensione poetica. “Cenere di stelle” ha un buon testo, ma al terzo brano già si affaccia una sensazione non piacevolissima: queste canzoni in qualche modo si somigliano e, ancor più, non raggiungono livelli di fruibilità che possano garantire un approdo sicuro nell’attenzione di chi ascolta. E questo è un problema. “Colm Thomas”, che tratteggia la figura del figlio del poeta Dylan Thomas, è una canzone curiosa e interessante e finalmente si coglie un arrangiamento più diretto, un qualcosa che rimane. Ma si torna alla precedente dimensione con “La nuora nera”, anche se il testo narra una vicenda molto intrigante ed attuale (un padre che non tollera la gente di colore, finchè il figlio non mette incinta una ragazza africana). “Io mi sento cbitarrista” è una discreta canzone soprattutto, questa volta, più dal punto di vista prettamente musicale mentre “Un mestiere difficile” passa senza lasciare traccia. “Quella strana allergia ai cipressi” è forse il brano più bello dell’album, lo è certamente dal punto di vista musicale grazie ad un arrangiamento al top. “Crollava l’intero paese” è la storia di un tradimento che musicalmente non premia il buon testo. Altro brano questo invece musicalmente molto interessante è “La mia testa in riva al mare”, piacevole, finalmente più “radiofonico” se proprio vogliamo usare questo termine. Qualche nota alla Ligabue ci viene da “Un’ingenua libertà”, ma non basta per convincerci che sia una bella canzone e, per finire, “L’arte di una madre”, unico brano strumentale ma ricco di intensità con alcuni pensieri riservati alla figura della madre delegati al libretto che accompagna l’album. Tarullo sa scrivere buoni testi, ma non sempre riesce a trasformarli in belle canzoni e per un cantautore questo non è un problema da poco. La sua è una dimensione artistica più letteraria che musicale, anche se sporadicamente si accende una lampadina, per ora troppo tenue.