Lo vado ripetendo da anni: se si vuole fare il rock, bisogna saperlo fare bene perchè il pianeta della musica è tempestato da rock band che si somigliano tutte e che spesso pensano che sia sufficiente massacrare una batteria e stuprare una chitarra elettrica mettendoci dentro qualche urlo. Non è così e la dimostrazione ci viene da “Smell the roses”, il nuovo album di Erja Lyytinen, cantante e chitarrista finlandese che si è autoprodotto questo progetto e che ha alle spalle un buon percorso artistico a respiro internazionale ed un altrettanto intenso lavoro in studio.
Il disco è caratterizzato da nove tracce che pongono subito in evidenza i due elementi che saranno il comun denominatore dell’intero lavoro: la poliedrica voce di Erja e la grande dimestichezza con la quale sa ricavare alla sua chitarra le cornici perfette ove collocare quella voce. L’album si apre con il brano che dà il titolo all’intero lavoro: “Smell the roses” che per certi aspetti riporta al miglior rock a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, ma subito dopo prende corpo un brano piuttosto sorprendente intitolato “Going to Hell” che in fase d’avvio scandisce note ruvide per trasformarsi poi in un lentaccio che fa da apripista ad altre note ruvide in un’alternanza che il mestiere di Erja riesce a non rendere stridente, ma al contrario, desta curiosità sino all’ultima nota. Il lavoro nell’insieme è tutto molto interessante anche dal punto di vista strumentale; lo rivela anche “Abyss” un brano premiato da un ottimo arrangiamento mentre “Dragonfly” conferisce maggiore risalto alla voce che, di passo in passo, rivela le sue sfumature, come accade ascoltando “Wings to Fly”; altra piccolo sorpresa in “The ring” che dà respiro alla musica con un’intro di quasi un minuto. E che il rock bisogna saperlo fare lo rivelano anche brani come “Ball and Chain” o “Stoney Creek” che dimostra come sia possibile non andare mai oltre le righe con la capacità di dosare veemenza e sentimento, riuscendo a mantenere sempre assoluta coerenza con quanto si va facendo. E si chiude con quello che a mio avviso è il brano assolutamente migliore, “Empty Hours”, un brano in cui Erja Lyytinen dimostra di poter fare assolutamente tutto con la sua voce, ma anche con la sua chitarra. I due elementi si fondono magicamente creando atmosfere ovattate e trasognanti, molto diverse da quanto ascoltato sino a quel momento, ma assolutamente piacevoli per una chiusura riuscitissima di un disco che può accompagnarci in un viaggio, al volante di un’auto, ma anche nella semioscurità del nostro salotto.