RAINBOW BRIDGE: UN LUNGO EP PROIETTATO IN UN ROCK D’EPOCA

E’ uscito in questi giorni “Unlock”, il nuovo Ep dei Rainbow Bridge, una formazione pugliese composta da chitarra e voce, batteria e basso e che con questo nuovo progetto propone cinque tracce, due delle quali superiori agli undici minuti, quindi, pur se nella dimensione di un Ep, l’ascoltatore ci troverà un elevato contenuto di musica (circa tre quarti d’ora).

E’ un rock vibrante, ruvido, che intreccia atmosfere psichedeliche ad un dinamismo strumentale che, pur se definito “istintivo e selvaggio”, non lascia mai nulla al caso ed in certi passaggi arriva diretto come un ceffone. C’è molta, moltissima chitarra ed in certi frangenti si respira l’aria densa e pungente degli anni del grande rock, quelli di Woodstock e degli anni a seguire. Per gli appassionati certamente si tratta di un ascolto piacevole e per i nostalgici con i capelli un po’ bianchi, di una sorta di ritorno al passato, almeno in un certo modo di pensare alle sonorità ed a quelle “svisate” che fecero impazzire una generazione. Detto questo e quindi messe insieme tutte quelle considerazioni che depongono a favore di “Unlock”, un paio di riflessioni ulteriori ci stanno. Dagli anni Settanta in poi, tutto ciò che in qualche modo pareva poter rompere degli equilibri, frantumare un certo perbenismo permeato di ipocrisia, proiettare in dimensioni immaginifiche virtuali, dando un senso di libertà senza più schemi, era rock. Questo marchio che ha rischiato di trasformarsi in un luogo comune, ce lo siamo trascinati sino ad oggi ma, nel frattempo, si è molto diluita la carica di quegli anni e il mondo è cambiato. Nelle tracce di “Unlock” si ascolta del buon rock, eseguito da gente che con gli strumenti ci sa fare, ma ben presto (soprattutto penso a chi gli anni ’70 li visse) in questo Ep non si coglie un’autentica originalità, non vi è un segno distintivo , non prende forma una cifra artistica capace di dare un tratto personalizzato al progetto. Di rock così ne abbiamo ascoltato tanto, ne stiamo ascoltando ancora ed anche volentieri, quando a proporlo non sono coloro che pensano che ogni frastuono possa definirsi rock (e sono in molti).  Diamo quindi atto ai Rainbow Bridge di essere un’ottima band, priva però di un autentico tocco di originalità (almeno in questo lavoro).

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