“Acqua alta a Venezia” dei Nadiè, che la presentazione definisce “un disco cattivo” è, in realtà, una produzione che mette a nudo la crisi di identità di una formazione che vorrebbe ringhiare con il rock, ma quando lo fa rivela una personalità incerta ed appare invece più convincente quando concede qualcosa in più al pop o, addirittura, al melodico.
S’inizia con “Conigli” e subito si rileva una gradevole contrapposizione di voci che ci riporta al miglior periodo battistiano. “In discoteca” prende quota il rock di cui sopra che va a mangiarsi un testo che tutto sommato riesce a disegnare a grandissime linee il luogo indicato. “Solo in Italia si applaude ai funerali” è una traccia che merita di essere ascoltata anche solo per il titolo e che va poi a rivelare, in dimensione vagamente rock, lo stupore e l’indignazione che già manifestavano anni fa, semplicemente scuotendo il capo, i nostri genitori increduli al cospetto di esequie trasformate in varietà. Piacevole l’ironia di “La bonda degli Abba” che rispolvera il personaggio forse più attonito del quartetto scandinavo; il brano, soprattutto a metà strada, presenta una gradevole linea melodica ed un buon arrangiamento complessivo. “Breve esistenza di un metallaro” potrebbe essere una buona idea, soprattutto musicalmente, ma se la “cattiveria” del disco sta solo in luoghi comuni come quello del “prete che ci prova con Adele…che bidone d’uomo…”, più che nella cattiveria si scade nel dubbio gusto di argomentazioni da bettola. E “Dio è chitarrista” è un altro rock non troppo originale che ci conferma nella convinzione che Dio, il Dio di qualunque religione, sarebbe più saggio lasciarlo dov’è. “Acqua alta a Venezia” solleva un po’ le quotazioni dell’album, con un pop gradevole pur senza toccare vette troppo elevate e con un finale un tantino delirante. Piacevole “Gli sposi”, brano che nella ritmica prende le distanze dalle altre tracce e con un testo che, anche in questo caso, non può considerarsi “cattivo” ma, semmai, una diffusa verità. In “Fuochi” la voce del povero Giovanni Scuderi pare soffocare nel frastuono. Lo andiamo ripetendo da tempo, è una questione di livelli, ma se la musica sovrasta la voce è inutile cantare un qualunque testo (bello invece il vocalizzo che ad un certo punto dà fiato al brano). E si va a chiudere con “Bandiere a mezz’asta” che è forse la traccia più bella dell’album, l’unica “cattiva”, ammesso che abbia un senso l’attribuzione di questo aggettivo ad una canzone che con poche tinte riesce però a dare il ritratto di un’epoca. E’, quello dei Nadiè, un album tormentato, che direbbe qualcuno “le prova tutte” per trovare risposte alle proprie domande. Un cd che ci parla di buoni musicisti, ma non sempre di buona musica. Un album con pretese sociali che, per chi viene dalla generazione dei Guccini e dei De Andrè, che inzuppavano il sociale nella musica come un biscotto nel latte, desta qualche legittima perplessità. (Nadiè – “Acqua alta a Venezia” -Terre Sommerse/La Chimera Dischi)