JOHN STRADA, L’ALBUM DELLA MATURITA’

Ed ecco, per chi ama il genere, una scorpacciata di rock/blues racchiusa in ben quindici tracce nel cd “Mongrel” di John Strada che con questo progetto raggiunge il traguardo del settimo album, il primo tutto in lingua inglese. E lo fa chiamando per realizzarlo un gruppo di musicisti e vocals (alcuni americani) che hanno contribuito a nobilitare ulteriormente un lavoro già di per sé interessante, pur se con qualche inevitabile calo di tensione.

Un percorso che inizia in realtà un po’ in salita perchè il primo brano, “Headin’ home” non “morde” come ci si aspetterebbe da una ouverture di un album che si annuncia a tinte forti. Ma già dal secondo brano, “Who’s gonna drive” si avverte uno spessore negli arrangiamenti che sarà una costante in tutto questo alternarsi di brani sempre sorretti dalla convincente voce di John ma, parimenti, da musicisti che quando ci si mettono…. Molto interessante “Promises” (con James Maddok coautore del brano), caratterizzato da un’originalità d’insieme che interrompe la cadenza dei primi quattro brani segnando una prima svolta grazie anche all’organo di Daniele De Rosa. Intenso “You’ve killed my heroes”, che comincia a porre in risalto anche il “mestiere” di Strada che ha calcato palcoscenici di ogni tipo, talvolta al cospetto di grandi folle, altre in ambienti più appartati e meno frequentati, in Italia ed all’estero. E torna a farsi sentire il grande organo di De Rosa in “I’m laughing” (con la partecipazione di Michael Mcdermott). Gli arrangiamenti si fanno via via sempre più ricercati (belle le chitarre in “Dust and blood”) e sublime è il pianoforte del solito De Rosa in “Johnny & Jane” (con Bocephus King). Graffia davvero la voce di Strada in “Free through the wind” ed è una vera perla la dodicesima traccia che precede l’area “bonus track”, “Christmas in Maghreb”, forse il pezzo più riuscito dell’album (anche se Strada abbiano ragione di pensare che si riconosca maggiormente in brani più “forti”) caratterizzato da un’ampia linea melodica, ancora il pianoforte che “colora” le sensazioni che sa produrre la voce di John, qui insolitamente più profonda, confidenziale, pacata. Che dire di un simile artista, se non che questo album probabilmente rappresenta il coronamento di un percorso iniziato parecchi anni or sono. Ma forse anche l’avvio di una nuova stagione all’insegna di una maturità ormai acquisita. Fatta la tara a causa di due o tre brani non proprio coinvolgenti (per esempio “In the fog”) quel che rimane è un bel cd che ha messo insieme tanta esperienza e tanta professionalità. Ma sicuramente, su tutto, tantissima passione che “vive” attraverso la musica.

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