IL NUOVO ALBUM DI BASCHIRA CHE PARLA DI LIBERTA’

Lui è Baschira (al secolo Davide Cristiani, artista di origini bolognesi, da tempo trasferitosi ad Amsterdam) e da qualche tempo è in circuitazione il suo album “Zdasdat” (che in dialetto bolognese signofica “svegliati”). Si tratta di otto tracce che escono decisamente dalle dimensioni musicali dilaganti per ricondurci ad una formula cantautorale che volge via via lo sguardo al folk, al gipsy, al jazz, all’espressione acustica ed al pop.

Brani talvolta apparentemente scanzonati, ma sempre con un messaggio che traspare tra le righe di testi mai banali, anche quando i camtautore, in chiusura, si concede un brano tutto in dialetto bolognese, ma non meno intenso e vissuto dei sette che lo precedono. Il percorso si apre con “A capo”, una ballata folk/cantautorale che ruota intorno ad un accattivante “giro” di chitarra; emergono subito alcuni aspetti caratterizzanti di questo artista che non gioca le sue carte sulle estensioni vocali, ma sulla capacità di raccontare, con voce un po’ grezza, i suoi pensieri. “Il biondo” è un brano che fa della metafora la sua dimensione comunicativa avallato da un buon arrangiamento.  “I limiti” è a mio avviso la canzone simbolo di questo cd, ne interpreta gli aneliti che lo percorrono dall’inizio alla fine e sono aneliti di libertà che talvolta rasenta l’anarchia. “Ci vediamo là” aggiunge ai concetti già espressi una ventata vagamente rivoluzionaria mentre “Solinsieme”, che è forse il brano migliore dell’album,  assume contorni introspettivi. “Brucia” è il brano della rabbia e della disperazione, ottimamente arrangiato mentre “Ruotaordinario” parla d’amore, di tradimenti e, ancora, di sentimenti veri solo se vissuti in libertà.E si va a chiudere con “Lebber”, il brano in dialetto, raccontato più che cantato, con qualche passaggio che ricorda il miglior Jannacci. La sensazione ad ascolto concluso è quella di un buon lavoro, ricco i contenuti e di stati d’animo che possono far pensare, anche se espressi quasi sempre con scanzonata disinvoltura. Non è un progetto da hit parade (oggi men che meno) ma è un lavoro equilibrato, vissuto, che ci allontana per una manciata di minuti dal grigiore dell’omologazione.

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