IL LEONE DI MORANDINI E’ VERDE MA NON AZZANNA

Se volevo ascoltare un disco difficile, non avrei potuto fare scelta migliore se non quella di accostarmi al debut album di Riccardo Morandini intitolato “Il leone verde”. Sono solo sette tracce, è vero, ma è un pieno di sensazioni, non tutte positive, di incomprensioni, di intenzioni più o meno ben espresse, di decolli mancati, di percorsi appena percettibili e di lirismo quasi sempre ermetico. Ecco, a ben pensarci, un giorno qualcuno mi disse che non devi dire che non è bello ciò che non capisci e quella massima oggi mi risuona nella mente più che mai.

Ma veniamo al disco ed alle sue canzoni. S’inizia con “Immagine”, brano con una ritmica piuttosto sostenuta ed una voce decisa, i suoni non sono troppo puliti, l’andamento è di discreta fruibilità. “Unione” è una canzone più delicata con una buona linea melodica ed un testo ricercato, ma si affaccia per la prima volta un inghippo tecnico che si ripeterà e che per me è un problema, forse per altri non lo è, ma personalmente non apprezzo le voci in qualunque modo alterate, soprattutto perchè (e neppure questo caso fa eccezione) rendono assai meno percettibili le parole e quindi penalizzano i testi. Anche in “Menade” la voce s’impasta con i suoni, le parti migliori sono le frazioni del brano non cantate perchè dal punto di vista strumentale vi sono flash interessanti, anche se nel finale il brano si inabissa. Ed è musicalmente interessante anche “Farfalle e candele”, vi sono buoni spunti negli arrangiamenti, ma la fruibilità dell’insieme è davvero pochina ed i testi si dovrebbero sempre cogliere perchè in una dimensione cantautorale anche questo è fondamentale. Ancora voce alterata in “Candida rosa”, qui però sono al cospetto di una canzone a mio avviso poco riuscita nell’insieme che mi dà un senso di generale confusione. Molto bello il testo di “Sole dei sensi” su di una base che si sviluppa tutta intorno agli accordi iniziali del pianoforte; è una canzone difficile che si disunisce un po’ nella fase finale. E si v a chiudere con “Luce sulla collina” riuscendo a sentire finalmente la voce pulita e reale di Morandini; probabilmente è il brano migliore della raccolta, buoni sono il testo e la linea melodica, con anche qui un po’ di eccessiva diluizione finale. L’insieme di questo progetto pare avere un che di sperimentale, un qualcosa di non definito, al di là della fruibilità dei brani, sempre un po’ in salita. Si percepisce chiaramente che Morandini ha delle cose da dire, ma è difficile in questo lavoro trovare emozioni immediate e questo potrebbe renderne più difficile la comprensione e quindi la fruizione. Non capire non significa negare la bellezza, certo, ma se a non capire sono in molti, l’arte perde la sua funzione e viene meno la magia che consente a chi ascolta o a chi vede di entrare in sintonia con l’artista. L’auspicio è che ad avere capito poco sia solo io.

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