I TALENTI CI SONO MA IN UN SISTEMA SBAGLIATO

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Sarà che ho i capelli bianchi (è un modo di dire, i capelli non sono ancora bianchi, ma gli anni ci sono), ma faccio sempre più fatica a cercare di trovare una chiave di lettura di tanti brani che mi inviano uffici stampa da ogni dove e che, come ho sempre promesso, ascolto rigorosamente (e, talvolta, lo ammetto, pazientemente). Come del resto mi è sempre più ostico un sistema che dovrebbe diffondere e promuovere la musica e che invece risente pesantemente della mancanza di una qualsivoglia strategia, limitandosi a buttare “in circuitazione”, come suole dirsi in tempi moderni, ogni nefandezza capiti a tiro, spesso, ahimè, non limitando la sofferenza di chi ascolta ad un solo singolo, ma spalmando la penitenza su interi album.

Ora, non vorrei sembrare ingeneroso con giudizi che talvolta potrebbero risultare davvero immeritati; anzi, ad essere sincero, tra i tantissimi artisti emergenti (perché di questi si occupa Musicamag) che ascolto ogni giorno, capita anche di imbattersi in voci e progetti davvero interessanti che mi confortano e mi convincono che c’è del buono, sia pure tra tanta desolazione. L’estrema facilità con la quale oggi è possibile imbastire una canzone, magari accompagnata da un video realizzato con uno smartphone e buttare tutto in rete, ha illuso e sta illudendo moltissime persone convinte di possedere talenti artistici che, purtroppo, non ci sono. Al resto ci pensa il sistema di cui dicevo poco sopra: quando arrivano le mail che annunciano “preascolti riservati ad uso confidenziale” e sottolineano “si prega di non divulgare prima dell’uscita dell’album”, mi viene l’orticaria perché, un po’ a stento, arriverei a capire queste precauzioni se parlassimo dell’ultimo progetto di Ed Sheeran o dei Coldplay, di Imagine Dragons o di Lady Gaga, ma qui parliamo del lavoro, sia pure onorabilissimo, di artisti emergenti che non può essere presentato come un segreto di Stato sino a nuovo ordine. E’ talmente vero quanto sto dicendo che vi sono comunicati che occorre rileggere più volte per comprendere quale sia il nome dell’artista, quale il titolo della canzone e quali le eventuali partecipazioni perché vi sono nomi che somigliano a titoli e viceversa, soprattutto quando sono in lingua inglese (ma accade anche con quelli in italiano). Il che la dice lunga sulla pretesa notorietà di alcuni personaggi. Ma andiamo oltre: inizia l’ascolto e sempre più frequentemente accade di imbattersi in intro musicali che sfiorano i 60 secondi; un po’ troppi per canzoni che superano di poco i tre minuti. Una canzone presuppone la presenza di qualcuno che canti, diversamente la si definisce brano strumentale. E proseguiamo. Sempre più spesso accade di imbattersi in voci palesemente falsate da filtri o marchingegni della tecnologia più avanzata (autotune incluso). A parte che non sempre gli effetti sono gradevoli, ma un cantante dovrebbe avere proprio nella sua voce e nella capacità di modularla la sua ragion d’essere, diversamente vi sono tanti mestieri al mondo che forse potrebbero dare più garanzie di continuità. Poi ci sono quelli che somigliano ad altri e ne sono, ovviamente, la brutta copia. E ci sono coloro che con la scusa di sperimentare mischiano suoni elettronici con quelli dell’officina sotto casa e dei binari della metro, producendo effetti agghiaccianti. Ma a tutti costoro, nessuno dice nulla. Nemmeno la mamma. Un tempo avrebbero dovuto bussare a decine di usci di case discografiche e probabilmente si sarebbero ritrovati dopo pochi anni a fare un altro mestiere. Oggi no. Oggi i sistemi digitali permettono di tutto a chiunque. Ed eccoci qua, con tutte le storture di un meccanismo complessivamente sbagliato che, alla fine, rischia di mettere in ombra chi il talento ce l’ha davvero. Ed ha già diseducato il pubblico più giovane che la musica non la “sente” più, si limita ad ascoltarla distrattamente. Meglio se con una birra in mano.

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