“FORSE CI SBAGLIAMO”, IL PRIMO INTERESSANTE ALBUM DI CLAMORE

E’ uscito da qualche giorno “Forse ci sbagliamo”, il primo album di Clamore, all’anagrafe Elia Bedin, classe 2001, un ragazzo che ha imparato prestissimo ad usare le parole e la musica come strumenti di comunicazione e di introspezione; forgia la sua voce frequentando la scuola di canto Officine Limoni di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza e l’anno successivo esce il suo primo singolo intitolato “Cielo di Marte” dopodichè si dedica ad un’intensa attività live sino al 2023 quando pubblica il singolo “Amare ciò che non appare” cui seguono un paio di altri singoli sino alla realizzazione dell’album che ho appena finito di ascoltare.

“Forse ci sbagliamo” è un progetto caratterizzato da dieci tracce, alcune delle quali già pubblicate come singoli e recuperate per questo lavoro che racchiude il cammino artistico sin qui percorso da Clamore. Il suo è un pop molto meditato con alcuni interessanti spunti cantautorali. Curiosa l’apertura del disco con il brano “Manifesto”, interamente parlato che a tratti mi ha riportato ad un vecchissimo brano di Caterina Caselli, “Incubo n.4”, entrambi carichi di pathos. Al di là di questo aspetto curioso,  va detto che la voce di Clamore “arriva”, pur senza grandi estensioni anzi, è quasi sempre molto piana, ma assecondata da testi mai banali che quindi inducono ad un ascolto più attento; quasi sempre buoni anche gli arrangiamenti che si fanno decisamente interessanti in brani come “Sopra le nuvole”, forse il migliore dell’intero album ma con immediatamente dietro “Clamore”, il brano della riscossa dopo la caduta, oppure “Le scatole del cuore” che intreccia ricordi e sensazioni che incontrano un profilo femminile forse solo idealizzato, simbolo di purezza; molto bene anche “Tornare a vivere” o “Amare ciò che non appare”, brani che vengono dal silenzio per raccontare di un qualcuno che ci accompagna e della capacità di trovare quel che cerchiamo dentro di noi. E’ evidente che si tratta di un lavoro che nasce dall’anima per tradursi in canzoni ed anche se la narrazione non ha sempre l’impronta più propriamente cantautorale, gli intenti lo sono anche per la buona capacità narrativa di Clamore. Sbaglierebbe chi pensasse che questo è un lavoro di difficile impatto sulle generazioni più giovani, poichè in fondo ne narra le ansie ed i timori più repressi. Ed io credo che se attraverso la musica ciascuno tenta di trovare un poco di sè stesso, il coraggio lo deve avere chi le canzoni le scrive e le canta, ma anche chi le ascolta. Un buon lavoro, che non fa sobbalzare sulla sedia, ma nell’insieme gradevole.

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