COPPOLA DILUISCE MA PIACE

Strano album questo “Cristallino” di Massimo Coppola, che con un gioco di prestigio, tra “Esterno notte” ed “Esterno giorno”, sdogana 18 brani dichiarandone 12, dedica una facciata del libretto con i testi ad un pensiero di Herman Hesse, fa un bel package rivelando la solidità di una squadra, dalla dimensione musicale a quella grafica, per portare a termine un progetto ambizioso, ma con qualche limite.

Intanto, c’è da sperare che Coppola abbia davvero pensato ad una continuità discorsiva nel “nascondere” alcuni brani dietro ad altri e non abbia invece commesso lo stesso errore di chi ritiene che un articolo su un’intera pagina di giornale sia più importante di un’editoriale di 40 righe. Come sempre, a fare la differenza sono i contenuti e, di solito, la “diluizione” eccessiva di questi, rischia do annacquare anche il “vino” migliore. Cominciamo con il dire che sin dal primo brano, “Ancora stelle”, si percepiscono tre aspetti che saranno una sorta di filo conduttore dell’intero percorso: suoni puliti, arrangiamenti pensati e quindi costruiti con lucidità, testi un po’ pretenziosi per un “discorso canzone” e che probabilmente, in alcuni casi, sarebbero assai più apprezzabili se trasferiti in dimensioni più prossime alla prosa ed alla poesia. Poi c’è il primo “pacchetto” tris con “L’embolo è il sintomo”, “Vigliacco” e “Controtempo” che vengono snocciolati senza soste, con semplici cambi di passo e…di storie; però “Se ti parte l’embolo ricordati che è un sintomo dell’istantanea del successo che cerchi quasi fosse il senso del vivere e nascondersi riflettersi e rifrangersi nelle bugie degli occhi e in quelle dei vent’anni” mi sia concesso dire che pare un testo scritto con il tubolario. “Controtempo” ha la linea melodica di una bella canzone impreziosita dal sax di Kuba Dolezal. Ed in questo senso si procede sino a “Paure e parole” che si presenta con un testo meno criptico ed un sontuoso pianoforte. “Lotte” sembra quasi un rap con poca voglia di esserlo, per poi ritrovarsi nel mondo onirico di “Indefinibile se verrà”. Sempre piacevoli gli spunti strumentali, come la chitarra di “Indefinibile se verrà” o come, andando a ritroso, in un paio di circostanze, la fisarmonica di Davide Bonetti. Ci si ritrova nel testo e nella musicalità de “Il tuo sorriso” e si si avvia alla conclusione, con un po’ di stanchezza. E con alcune convinzioni fattesi più consistenti: la voce di Coppola non trova sempre in questi brani la sua dimensione migliore, ma quando si tratta di prestarla a toni più bassi e confidenziali risulta assolutamente convincente; qualche cedimento qui e là negli arrangiamenti, ma mediamente, anche in questo senso, si tratta di un lavoro mai approssimativo. Possono essere discusse alcune scelte, mai la determinazione con la quale sono state affrontate e quasi sempre risolte, grazie anche ad una piccola pattuglia di ottimi musicisti. Coppola ci sta tutto, ma per fare media con questo album, gli consigliamo di tradurre i suoi prossimi pensieri musicali in un Ep.

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