“Solo un sogno” è il titolo dell’ultimo album di Vaniggio (al secolo Ivan Griggio). Un lavoro di chiara matrice rock Nove tracce dalle quali un po’troppo ripetutamente fa capolino il “fantasma” di Ligabue e altrettanto ripetutamente si eccede con le “schitarrate” da troppi intese come l’indispensabile segno distintivo del genere.
Ciò nonostante, si fanno largo qui e là brani che è più piacevole ascoltare, come quello che dà il titolo all’intero progetto o “Mai come sembra”, che offre una dimensione piuttosto staccata rispetto al “corpo” complessivo di questo cd. Quella di Vaniggio è una voce intagliata nel rock, ma monocorde e non sempre percettibile sino in fondo nei testi che va a cantare, proprio perché la musica, che a più riprese si fa frastuono, talvolta scivola sui decibel. Forse in una dimensione live, in uno di quei locali ove ci si reca per essere travolti, questa formazione, con i brani che propone in questo album, avrebbe un impatto diverso perché diverso sarebbe il contesto. Vaniggio ruggisce e graffia quasi in tutte le tracce. Canta male? No. Semplicemente canta il rock come fanno decine se non centinaia di altri cantanti del genere. Canta bene? Probabilmente si, perché il problema suo (e non solo suo) non è l’intonazione o l’interpretazione di ciò che va a cantare, ma in senso più ampio è la trasfigurazione che in pochi decenni questo genere ha subìto. Chi suona con lui suona male o suona bene? Né bene né male, suona con l’omologatore costantemente acceso e non concede nulla ad un briciolo di originalità. In questo turbine viene risucchiato anche Vaniggio che nell’originalità dovrebbe invece cercare la cifra distintiva di un artista, quella che lo dovrebbe fare emergere da una marea di consimili, redendolo riconoscibile al primo cenno.
