S’intitola “Anima Sensoriale” l’album di Garbato, progetto che riunisce cinque musicisti e si presenta in sette tracce. Al di là del tentativo di identificare i contenuti di questi cd in “un viaggio circolare che parte da dentro e torna ad esso in un tentativo di trasformazione interiore…”, nella realtà ci troviamo alle prese, almeno per buona parte dei brani, con un percorso rock tutto sommato piuttosto banale nel quale emergono qua e là buone individualità che non riescono però a conferire al lavoro una proproa personalità.
Si parte, male, con “Riflessioni”, brano dalla linea melodica incerta dopo una intro piuttosto pretenziosa. E’, si, un rock deciso dal punto di vista strumentale, ma le perplessità fanno ben presto capolino. “Tarocchi” rivela una voce interessante, quella di Alessandro Gabanotto, che anche in altri brani riuscirà a dar lustro degnamente alle sue corde vocali, ma il brano nell’insieme non decolla, al di là di qualche piacevole giro di chitarra. “Stretti in un’anima” rivela ancora una linea melodica un po’ arruffata, ma sa sorprenderci con un arrangiamento un po’ più “pensato” e, soprattutto, con le note di un hammond che sempre affascinano. Ascoltando “Sento” ci si convince definitivamente che questa band ha apertamente scelto i percorsi di una fruibilità difficile e lo rimarca l’andamento di un brano complessivamente greve. “Lei non c’è”, pur se a tratti le parole del testo annegano nei decibel strumentali, si rivela un brano discreto, meglio strutturato seppure con un arrangiamento “a strappi” non senpre convincente; buona comunque la voce. Anche “Voci alla finestra” pare più accostabile, in grado insomma di coigliere una maggiore fruibilità anche dal punto di vista strumentale, ma ci pensa “1000 all’ora”, il brano che chiude l’album, a riaprire il capitolo di un rock che mira più allo stordimento che all’ascolto, tutto sommato banale, con una dimensione vocale che pare destinata all’esorcismo e la chitarra elettrica che dà sfogo ad una rabbia lungamente e non sempre repressa nei sei brani precedenti. In questo album i difetti del rock degli anni Duemila ci sono praticamente tutti, anche se a conti fatti ci si accorge di avere a che fare con musicisti che i loro strumenti li sanno usare così come sa usare la sua voce Gabanotto. Ma il rock del frastuono, che forse in determinate dimensioni live può risultare attraente, non regge la prova dell’ascolto. Soprattutto quando si parte dal presupposto di offrire un percorso artistico di forte interiorità, che quindi anche dal punto di vista testuale dovrebbe recare contenuti percettibili ed invece annega nella banaità di schitarrate che strizzano più l’occhio alle mode che non ai contenuti.