Stilare una recensione dell’ultimo lavoro di Beny Conte, “Il Ferro e le Muse” risulta non facile, ed in qualche modo controverso. Si tratta, come spiega l’autore stesso, di un’opera musicale che nasce in tandem con una letteraria: un romanzo che porta lo stesso titolo, e a cui sono ispirati parte dei testi.
Di primo acchito, ciò che colpisce sin dal primo brano, “Quannu scinni ‘a notti” è l’altissimo livello qualitativo delle musiche e degli arrangiamenti. Livello che si conferma nel prosieguo dell’ascolto, con una versione rivista e corretta della tradizionale “Vitti ‘na crozza”: lenta, melanconica e dolente – e via via in tutti gli altri brani. Arrangiamenti e musica impeccabili, si diceva, tra atmosfere di musica antica e suggestioni jazz, da toni folkloristici (“La mafia e li parrini”) a sonorità più pop. L’uso della lingua siciliana rende più incisive le tematiche che attraversano tutto il lavoro: l’eterna lotta dell’isola contro quei terribili mostri che sono la mafia, la prevaricazione, la connivenza di chi dovrebbe e potrebbe combatterli, l’amore comunque incondizionato verso questa terra tormentata (“Malìa” “Come un abbraccio” “Serenata alla terra”). Diventa quindi un po’ paradossale e quasi imbarazzante dover rilevare che il punto davvero debole in questo lavoro, per ogni altro aspetto interessante ed assai curato, è purtroppo l’esecuzione vocale dell’autore. Tecnicamente discutibile, rivela ruvidezze, incertezze e qua e là vere e proprie carenze di tonalità, che compromettono in parte la qualità dell’opera. Un vero peccato.