Da qualche giorno è in circuitazione “Per amore della febbre”, l’album che segna il debutto discografico di Cece. Francesco Baranzini, in arte Cece, è originario di Angera, piccolo centro sulle sponde del Lago Maggiore; è laureato in Medicina e Chirurgia, ma è sempre stato appassionato di musica, oltre che di sport acquatici. Muove i primi passi in ambito locale come polistrumentista (tastiera, chitarra, fisarmonica, sax) finchè approda nel mondo discografico con la realizzazione di questo album.
“Per amore della febbre” è un progetto caratterizzato da undici tracce la prima delle quali, che reca lo stesso titolo del disco, è un bellissimo brano strumentale. Il lavoro di Cece (ha scritto parole e musica di tutti i brani eccezion fatta per “Piccole storie” e “Una vita intera” per i quali si è avvalso della collaborazione di Carlo Maria Baranzini) è uno di quei percorsi artistici ove ti imbatti in una frase, una sola frase, che a mio avviso motiva tutto il disco. L’ho colta in “Maladroxia” e ve la propongo ponendo in evidenza come queste poche parole riescano a fotografare tutta la tristezza e tutta la drammaticità di un momento: “…c’è il mio orgoglio in cucina, la tua rabbia per strada…”; ecco, essere cantautore significa questo: saper tratteggiare ogni istante che si va cantando con una capacità narrante incisiva ed immediata. Per altro “Maladroxia” è uno dei tre brani migliori che ho avuto modo di ascoltare in questo lavoro. Cece ha una voce chiara e ferma, il suo modo di pensare alla musica è certamente riconducibile al cantautorato più vero, anche se non disdegna riferimenti ad una dimensione musicale più contemporanea, ma proprio quelli sono i brani che affronta con meno dimestichezza (mi riferisco in particolare a “Ti voglio” e “Una vita intera”). Dal punto di vista prettamente musicale il disco presenta momenti di estrema intensità, come rivela sin da subito il già citato brano di apertura; gli arrangiamenti sono accurati e riescono quasi sempre ad incornicare le atmosfere dei brani, avvalorandone la loro incisività ed una espressività testuale davvero rilevante. Come dicevo, tre sono i brani che più mi hanno colpito e coinvolto, oltre al già citato “Maladroxia”; mi riferisco a “Onda rossa”, che è il vero top dell’intero album e a “Superluna”, due brani che reggono l’intero progetto, ben coadiuvati per altro anche da “Piccole storie” e “Alveare” (qui, attenzione alle intro troppo lunghe). Insomma, considerando anche che si tratta di un album di debutto direi che è un lavoo eccellente, scandito da alcuni gioielli che rivelano una potenzialità complessiva estremamente interessante ed una sensibilità artistica da tenere d’occhio.