Gli Ardàn sono una formazione italiana, prodotta da un marchio italiano, che fa un album con titolo in francese e brani in inglese. Vabbhè, direte voi, in tempi di globalizzazione selvaggia ci sta anche questo. Il titolo è “Voyage d’une seule nuit” (“Viaggio di una sola notte”, ma era facile). Una notte evidentemente difficile ed agitata, caratterizzata da 14 diverse situazioni, tante sono le tracce dell’album. Ma questa notte agitata è stata vissuta tutta all’insegna della dimensione spaziale, che proietta chi ascolta in un percorso lungo il quale le uniche tracce che possono davvero definirsi “canzoni” sono due.
Le altre sono sensazioni, suoni, effetti,voci prossime e lontane, insomma, un qualcosa che dal punto di vista musicale alla fine risulta indefinito ma, ancor più, impersonale. Il primo brano, “Mayday”, ne è testimonianza immediata, offrendo gli effetti di una dimensione inquietante prima che esploda il rock di “The Dreamer” che fa da sfondo e contorno ad una voce un po’ assonnata (del resto, se si tratta di un sogno….) difficile da mettere a fuoco. “The Big Bang” ripropone suoni astrali, sibili, fragori sino a circa un minuto dalla fine quando, finalmente, pare affacciarsi in mezzo a quella confusione un po’ di musica. “Omes” ripropone la voce incerta di cui sopra che tenta di farsi largo tra effetti talvolta penetranti, linea melodica indefinibile con baraonda finale. “Launch!” riporta le voci perse nello spazio che innescano l’esplosione del rock, che però ben presto pare farsi da parte per trasformarsi in un più tenue pop per tornare al rock e ad un “bip” conclusivo che evoca soprattutto una sala di rianimazione. Pausa di riflessione: un lavoro di questo tipo può forse definirsi sperimentale, accettando il fatto che la “sperimentazione” è una ricerca e come tale non dispone di un tracciato predefinito, non è però “alternative” proprio perchè qui di musica reale ce n’è pochina. E proseguiamo con “Strangers in This World”, una delle due canzoni “vere”, strutturata, con la voce che, uscita dal torpore, pare assumere toni più nitidi pur se non traspare ancora una versa personalità. “Mon” è un’esplosione “non stop” (un minuto e 19 secondi) con il sottofondo di suoni indistinti e di un carillon che la fa apparire la colonna sonora di un film horror. Imposibile associare alla musica una traccia di questo tipo. E si approda a “Salyut” , in cui la musica (qui c’è) soverchia la voce in un andamento lento ma un po’ confuso; di certo se l’obiettivo è quello di ribadire la dimensione onirica che è il comune denominatore di questo cd, è centrato, sapendo però quanto i sogni possano falsare la realtà. “Satellites” presenta una struttura più convincente che offrirebbe alla voce del gruppo l’opportunità di una buona apertura, opportunità colta solo in minima parte ed i suoni troppo manipolati non migliorano l’insieme. Ci avviamo alla conclusione con “Moreton”, altro brano di effetti e suggestioni, quindi “Time” che trae dalla confusione una traccia musicale più attendibile per approdare alla seconda canzone “vera” dell’album, “The Tree Under The Ship” che pur travolgendo la voce troppo tenue che non regge il brano, risulta un buon pezzo, musicalmente interessante e coinvolgente. Forse è il brano migliore dell’intero album. “Wormhole” ci riporta alla dimensione horror già percorsa con voci ansimanti (ed angoscianti) e carillon, per chiudere con “Exoterra”, brano in cui pare finalmente prendere tono e colore la voce della band, ma siano all’ultima traccia e tutto annega poi in una dimensione delirante (onirica agitata?). Che dire? Quando un cd musicale diviene uno strumento pensato e realizzato per stupire, pur mettendoci pochissima musica, la perplessità è d’obbligo. C’è la licenza di sperimentazione, un po’ simile a quella poetica, ma reggerla per 14 tracce è impresa ardua. Per non dire della fruibilità di un simile progetto, anche immaginandolo in dimensione live. (Ardàn – “Voyage d’une seule nuit”- Alka Records Label)