TENCO, UN ADDIO LUNGO 50 ANNI

Luigi Tenco se ne andava, nel bel mezzo di un Festival di Sanremo, esattamente 50 anni fa. Un biglietto ed uno sparo sono rimasti i simboli più rilevanti di quella tragedia. Il biglietto, lasciato dal cantautore, deluso ed avvilito dalla scelta di una giuria che aveva estromesso la sua “Ciao amore, ciao” per fare posto a “La rivoluzione” cantata da Gianni Pettenati. Lo sparo, secco, al capo, in una stanza di un albergo che non c’è più. Innumerevoli sarebbero state, dopo quel giorno, le congetture intorno a quel dramma. Sino ad arrivare ad ipotizzare che quel biglietto non fosse stato scritto da lui. Sino a giungere a sostenere, che quello sparo sarebbe stato esploso da un revolver tenuto in mano da qualcun altro. Senza però riuscire mai a dimostrare di chi sarebbe eventualmente stata la mano che aveva scritto quelle righe e premuto quel grilletto. E, soprattutto, perchè. Luigi Tenco era uscito di scena, lasciando tutti sbigottiti e increduli, ma nonostante ciò, il festival approdò alla fine, con tutto quel corollario di ipocrisie che ne ha scandito la storia, anche nei suoi anni migliori. Se ne era andato lasciando sconvolta Dalida, interprete della seconda versione di quel brano. Ai due era stata attribuita una storia d’amore. Vera o presunta che fosse, è un fatto che da quel giorno Dalida non si sarebbe mai più ripresa, sino ad arrivare, diversi anni dopo, lei stessa a togliersi la vita. Se ne era andato lasciando uno strascico di polemiche, ingigantite dal tempo, soprattutto per rimarcare con quanta dabbenaggine e superficialità si fossero svolte le indagini sulla sua morte, sin dai primi istanti. A raccogliere la sua eredità, oltre al fratello Valentino, fu Aristide Rambaldi che fondò il Premio Tenco, una vetrina della canzone d’autore per artisti affermati ed emergenti che per anni ha convogliato nella città del fesivalone il meglio del cantautorato nazionale. Una rassegna che a cinquant’anni dalla morte del cantautore di Ricaldone, pare stia conoscendo un momento di smarrimento, proprio come lo stanno vivendo la canzone d’autore e la musica tutta. Ma Luigi Tenco, se non se ne fosse andato quella notte, se si fosse fatto una bella risata alla faccia di quella giuria che aveva preferito al suo brano una canzoncina orecchiabile e senza pretese, sarebbe stato….Luigi Tenco? Oggi, settantanovenne, avrebbe conservato quell’aura un po’ magica che circonda i cantautori d’epoca, come Gino Paoli, Umberto Bindi, Sergio Endrigo e altri? Che ne sarebbe stato della sua carriera? Che avrebbe fatto dopo quel “Ciao amore, ciao” che a riascoltarla oggi pare un addio premeditato al mondo più che la fine di una storia d’amore? Difficile prevederlo. Un giorno Bruno Lauzi mi disse che Tenco era perseguitato da una sorta di tarlo che rodeva la sua esistenza, sin dai tempi del servizio militare, dal quale ad un certo punto era stato esonerato. Un tarlo che forse aveva già segnato il suo destino. Ciò che ci ha lasciato quel cantautore con lo sguardo triste e un po’ perso, è una manciata di belle canzoni, per certi versi assai più avanti rispetto al modo di pensare alle canzoni del suo tempo. Il mistero della sua fine prematura e così tragica. Il rimpianto di ciò che forse avrebbe potuto essere e non è stato. La certezza del suo ricordo, così presente e così assiduo, che è propria di chi all’arte si accosta mettendo in gioco la propria anima e, fors’anche, la propria vita.

Giorgio Pezzana

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