NÈRA, QUANDO IL ROCK E’ STRUTTURATO

L’ep “Nèra” della omonima band, pur se caratterizzato da sole cinque tracce e quindi privo dell’ampiezza (non sempre indispensabile) di un album, sin dal primo ascolto consente una serie di annotazioni che contribuiscono a definire la qualità del prodotto finale.

Intanto la musica: è quello dei Nèra un rock tonico, ruspante, a tratti cattivo, con qualche cedimento nella ripetitività, ma che conferisce comunque al gruppo una cifra artistica che appare già ben strutturata. Non lasciatevi tratte in ingatto dalla foto del libretto, visti in quell’immagine paiono cinque impiegati del catasto al dopolavoro, ma quando si avvicinano agli strumenti, cambiano anche le loro fisionomie. Discorso diverso per i testi, fatta eccezione per quello del primo brano, “Quel che sei”, che riesce a dare un senso alla sensazione che si vuole trasmettere. In “La plastica”, “Amplesso” e “Credevo fosse realtà”, si percepisce il desiderio di collocare delle parole o delle frasi che siano funzionali al percorso musicale al quale dunque viene lasciata priorità quasi assoluta. Diversamente sarebbe difficile dare un senso a frasi del tipo “…Lo dici tu, lo pensi tu, lo sai solo tu e ancora tu, io sopravvivo lo stesso in un continuo amplesso…” (anche qui rientriamo nella casistica del “che cosa ha detto?”…”nulla, ma lo ha detto molto bene”). Il brano davvero interessante di questo ep è l’ultimo, “La cosa migliore”, titolo quasi profetico poiché la traccia è quasi del tutto strumentale e funziona meglio delle altrei. Un bel giro di note, una frenesia che cresce e nello sfondo solo una voce cupa alla quale vengono concesse solo poche parole ripetute. Ci si imbatte anche in un pizzico di originalità, che negli altri quattro pezzi non compare. Complessivamente un cd che vale la pena dell’ascolto (e nel caso dell’ultimo brano, anche di un riascolto e forse di un altro ancora….).

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