DAUSHASHA, LA RICERCA DELLA TRADIZIONE

Incuriosisce per gli intenti il cd “Luna” realizzata dalla band veneta Daushasha che dice di rifarsi a ritmi popolari senza disdegnare però, come nel caso del brano “La luna abbraccia troppe stelle” riferimenti al poemetto di Puskin, “Cigany”. Dopo un convincente “Preludio” solo strumentale, ecco infatti il brano per il quale viene scomodato il grande letterato russo. I richiami musicali sono vagamente balcanici, la voce di Serena Marazzato non scuote gli animi, ma la canzoncina funziona per il suo buon ritmo.

“Artista senz’arte” è una traccia musicalmente molto interessante con il violino di Lorenza Bano che s’impone, come accadrà in altri brani, ma il testo affidato alla voce non troppo convincente di Federico Pavanetto, risulta banaluccio anche se, anche in questo caso, gli arrangiamenti tengono a galla la barca. “Il freno” è il brano che già alcuni mesi or sono, con un video, aveva fatto da apripista alla produzione di questo album mentre “Le bestemmie” è tra le tracce proposte quella che più di altre avvicina la band ad una dimensione più popolare, quella delle balere ove imperversano le orchestre di liscio e revival con i loro ballabili. Il brano qualitativamente più bello dell’intera raccolta è senza ombra di dubbio “Canzone clandestina”, traccia solo strumentale che convince definitivamente sulla levatura dell’ensemble dal punto di vista strettamente musicale (a parte quei brutti accordi di chitarra elettrica a fare da contrappunto al violino nella prima parte del brano, ma questa è una questione di arrangiamenti). “La canzone del fosso” ci riporta alla voce poco convincente di Pavanetto, qui anche alle prese con un testo un po’ stucchevole (ma non si tratta evidentemente di una produzione cantautorale nel senso classico della definizione, quindi certe sbavature vanno perdonate). E si chiude con un classicone: “Oci Ciornie”, brano sdoganato dalla più nota tradizione russa, molto ben eseguito e reso piacevolmente fruibile nonostante le innumerevoli versioni che ci è stato dato di ascoltare di questa canzone, dalla versione del Coro dell’Armata Rossa, passando attraverso Pavarotti. Che dire di questi Daushasha? E’ una formazione con buone potenzialità ed ha il merito di essersi dedicata ad una dimensione musicale che va a recuperare il gusto della composizione di brani legati alla tradizione popolare (“Oci Ciornie” a parte). C’è indubbiamente molto da lavorare sulle voci, che definirei anonime, ma il percorso appare interessante ed il “carburante” non manca.

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